No, non c’è bisogno di lirismo, di terminologia aulica e nemmeno di riprendere in mano,che so, Heine, Holderlin e neppure Yeats per raccontare questa storia.Quello che è accaduto, riportato nudamente, senza fronzoli, parla da solo. C’è che lunedì 25 marzo, primo giorno dell’entrata in vigore dell’ora legale, mi sono recato a scuola, faccio l’insegnante e pur essendo chiuse, avendo fatto domanda per far lezione a distanza nell’istituto dove lavoro, ad Asso, piccolo comune del triangolo lariano, per terra, sul marciapiedi, poco distante dall’Autoricambi Sironi, ho trovato una piantina di calendula. Vado a piedi, mi capita da decenni di trovare piantine buttate via, cadute da un balcone, magari strappate dal vento o perché qualcuno facendo pulizia nei vasi, senza avvedersene, le fa cadere fuori dal davanzale. Ho raccolto questa calendula, i boccioli piccoli, lo stelo forte, radici piccole ma ben formate. Cerco e trovo, subito, un bicchiere di plastica e ce la metto dentro. Passo all’edicola a prendere il giornale e vado a scuola. Suono, la bidella mi prende la temperatura, firmo il foglio di ingresso. Vado nell’aula predisposta per la mia lezione da remoto.
Digito le tre password necessarie per collegarmi ed ecco la mia classe della prima ora.
“Oggi, lunedì 25 marzo, comincia l’ora legale, qualcuno di voi sa dirmi che significa?” “Buongiorno, prof, significa che abbiamo spostato l’orologio di un’ora indietro” “Sapete perché?”
E così gli parlo della crisi energetica del ‘73, dell’invenzione dell’ora legale per risparmiare energia, la questione dell’austerity e quella del petrolio. Gli parlo del tempo che è una convenzione, che in seguito di un referendum vinto nettamente nei paesi del nord Europa, probabilmente dall’anno prossimo l’ora legale certamente nei paesi scandinavi, l’ora legale diventerà un ricordo.
Gli chiedo come si sentano, assonnati, sfasati, anch’io ho fatto fatica a svegliarmi, in effetti, alle cinque. L’ora solare è quella astronomica, l’ora legale una convenzione. Gli ricordo che quando fu introdotta per la prima volta, tra quelli che protestarono più vivamente ci furono gli allevatori: le mucche non ne vogliono sapere di essere munte ad un orario diverso, loro, come è giusto, seguono un’orologio legato al sole, ai ritmi della natura. Gli alunni, dallo schermo del pc, partecipano, quasi tutti a questa lezione. Allora tiro fuori la piantina di calendula, nel suo bicchiere di plastica.
Ragazzi, questa l’ho raccolta per strada, secondo voi, evidentemente , voglio salvarla, cosa devo fare? Come si chiama, la vedete? Deve darle dell’acqua, prof. E come faccio per non rovesciarla nella mia borsa ed evitare di bagnare tutto? Prende un tovagliolo di carta, lo inumidisce e lo mette tutto intorno alle radici. Si, si fa così, esatto. Sapete che quando andavamo in Francia ho raccolto talee di piantine e le ho portate così a casa ed adesso sono grandi e stanno rigogliose nel mio giardino? E questa, come si chiama? Non lo sappiamo, prof. E’ una calendula, ed il suo nome c’entra proprio con il ragionamento che facevamo sul tempo. Calendula viene dal latino, significa “piccolo mese” poiché in un mese questa piantina fiorisce. Calenda, il mese in latino, da cui il calendario. I Romani dicevano “Ci vediamo alle Calende greche per dire non ci vedremo mai, le Calende sono solo romane”…Come la paura di non vedervi più, alle calende greche, appunto, in classe. Cosa avrei fatto se fossimo stati in classe, tutti? Ce l’avrebbe fatta toccare, vedere da vicino, l’avrebbe mostrata a tutti. Certo, la calendula è una piantina officinale, come dice il suo nome botanico, i boccioli si possono mangiare, mettere sotto aceto come i capperi e da essa si ricavano pomate lenitive che significa che ammorbidiscono la pelle. Vedete, come da una piantina si ricavino tante cose, tanti pensieri, riflessioni utili. I ragazzi seguivano, qualcuno aveva un gattino che teneva in braccio, a me fa piacere, almeno non sono soli, a scuola, molti anni fa, avevamo un Orto di pace, era quello il suo nome, tutti non vorremmo che tornare a vederci.
L’indomani, la calendula messa a dimora in una fioriera grande, innaffiata, stava già benone accanto a gazanie e gerani, ho ricordato ai ragazzi il ragionamento del giorno precedente.
Rammentavano e mi hanno chiesto del fiorellino. Ho spiegato che quello che ci eravamo detti era stato bello, che avevamo seminato speranza, che i bambini sanno ancora come si tratta un fiore, sanno dell’acqua e delle radici, adesso sanno anche del tempo. Gli ho promesso che ne avrei scritto,
fatto un racconto. Ed è quello che state leggendo ed è importante. Non sono molti gli insegnanti
che vadano a scuola a piedi e quindi non portano in salvo calendule né altre piantine cadute dai balconi, non sono molti neppure quelli che sappiano del calendario e di quel fiore, in latino.
Certamente , se anche lo sapessero, non lo fanno con una piantina di calendula in mano.
Siamo fortunati, a potere andare a piedi, ancora. Molto meno perché viviamo tempi nei quali si pretende di fare scuola dietro uno schermo, una calendula si può vedere ma non toccare, non se ne sente il profumo, e nemmeno i petali, vellutati. Fosse stata una margherita, neppure toglierli uno ad uno “M’ama non m’ama”. Ci perdiamo molto. Ci stiamo perdendo troppo.
Gli ho dato da leggere Il Piccolo Principe, di leggerlo e di scrivermi, almeno dodici righe, dopo averlo letto attentamente, tolte le immagini saranno meno di cento pagine, di raccontarmi loro come si sentano, in rapporto alla solitudine di quel bambino sperduto sul suo asteroide, con questa DAD, didattica a distanza. E’ importante situarsi in relazione ad un pensiero più grande, di uno scrittore vero che da aviatore, tante volte, si è trovato costretto ad atterraggi in mezzo al Sahara. Ed ha quindi generato quella storia, del Piccolo Principe e della sua rosa, della volpe e del serpente e dei geografi, dei grandi che quando pensano ad una casa considerano il prezzo e non il colore. Sì, questa storia andava raccontata, questi bambini la leggeranno. Quel mattino del primo giorno dell’ora legale, quella prima ora , questo professore che parla del senso del tempo, che parla dei fiori, ha loro promesso di farlo. Ed eccola, e voi, che ne dite? Raccoglierete piantine per strada, le salverete e le porterete in classe o se più piccini, ai vostri figli, a casa?
Buona Primavera, buone feste di Pasqua, che resurrezione sia, di ogni cosa vivente, delle nostre coscienze, che ogni cosa rinasca più verde, più profumata e più bella.
Teodoro Margarita