IL TROPICO BEN TEMPERATO
di Ezio Menzione
Nella zona in cui la grande città dell’Avana diventa campagna e compaiono, accanto a vecchi pick-up dei carri trainati da cavalli che fanno da minibus, non lontano da quel luogo di culto e santería che è la Chiesa di San Lázaro (con annesso lebbrosario), l’amico Joaquín qualche anno fa è riuscito a comprare (il termine non è proprio esatto perché la compravendita fra privati non è ammessa: credo l’abbia ottenuta con una permuta) una finca non troppo grande, un po’ malmessa perché in pratica lasciata a se stessa da dopo il fatidico gennaio ’59.
Quella particolare zona, prima (intendo dire prima della revolución) era luogo dove andare a passare i giorni di festa in campagna per la piccola borghesia cittadina. Lo attesta l’edificio, adeguatamente piccolo, ma in linee semplici e razionali tipiche degli anni ’50.
Attorno ad esso stanno sette appezzamenti di terreno più o meno della stessa ampiezza, di cui uno (quello con la costruzione) costituisce giardino, gli altri sei sono, quanto a quattro, campi coltivati a frutteto e orto, mentre gli ultimi due servono per far pascolare e muovere ed allenare i sei bei cavalli di Joaquin. Ci sono anche maiali e maialini, polli, conigli e, pieni di sé e col piumaggio lucente, un certo numero di pavoni. L’amore di Joaquín per gli animali lo porta a tenere i maiali come fossero cavalli, strigliandoli e pulendoli ogni giorno: naturalmente ci si affeziona al punto che mai e poi mai verrebbero mangiati; i cavalli poi vengono tenuti come umani: non è consentito montarli se non hanno raggiunto una certa età e le loro stalle somigliano a camere d’albergo tanto sono pulite.
Ma è tutta la finca, che restituisce un senso di nitore e regolarità. Tanto più apprezzabile perché lì ai tropici il rischio in genere è non che le cose non crescano, ma che crescano troppo in fretta, che la natura prenda il sopravvento nel giro di una sola stagione: arginare la natura sembra la parola d’ordine. Inoltre, come si sa, proprio a Cuba essa si vendica di tanto ordine con gli annuali uragani: è accaduto due anni fa che il lavoro si sia dovuto ricominciare da capo.
Nei due appezzamenti a frutteto, piantati a quinconce, sono già cresciutelli non solo gli agrumi, ma banani, avocado, canistel, annona, manghi in numerose varietà, guaiava, mamey e tante altre specie.
L’orto, sul lato nordest della proprietà, così da catturare il sole più fresco del mattino, ma essere schermato dal frutteto dalla vampa diurna, è coltivato stagionalmente, calcolando che ciò che da noi cresce in estate lì viene piantato in autunno e colto in inverno. Il caldo e le piogge della primavera e dell’estate non consentono di coltivare quasi alcun ortaggio: i filari non resistono, i parassiti prosperano: i pomodori vanno bene dunque per il Natale, non per ferragosto.
Il giardino è altrettanto ordinato quanto i campi della frutta.
Certo, non è comune trovare a queste latitudini un prato tanto compatto e verde: i semi sono stati fatti venire apposta dal Kenya dove, all’equatore, servono per i campi di polo. Su tutto un lato una fila di palme tenute ad arbusto formano la divisione dalla via secondaria: fitte abbastanza da essere impenetrabili, danno il senso di un’ordinata esuberanza.
Le bouganvillee di più colori, sul lato opposto, accolgono all’ingresso, arrampicandosi sulle inferriate, i croton crescono a folte macchie incendiate e dorate, hibiscus, mariposa, frangipani e tante altre piante da fiore sono dislocate in maniera irregolare, ma all’interno di aiole rispetto alle quali l’erba del prato è trattenuta in cerchi ben delineati, altre aiole sono costituite da praticelli di piantine, come la peperomia, che da noi godiamo come singole, e qui invece fanno tappeto erboso e fiorito. L’ombra è assicurata da alcuni manghi preesistenti e quasi giganteschi, sui quali si arrampicano alcune decine di orchidee, primo nucleo di una futura collezione: a questa atmosfera di calma tropicale donano animazione, come si è detto, i pavoni, mentre fanno macchia di colore due auto anni ’50 amorevolmente recuperate da Joaquín, una Chevrolet del 1955 color oceano metallizzato ed una MG decapottabile rossa.
La colonna sonora è assicurata, essendo Joaquín amico di un notissimo musicologo, da migliaia di brani musicali perennemente diffusi in un mix caraibico di sottofondo, dove ciaccone di Rameau e ariette di Grétry si alternano ai valzer di Lecuona e ai mambo di Pérez Prado.
Amache, grandi ventilatori a pale e mojitos a base di hierbabuena (la menta locale, irripetibile) e ron d’annata fanno il resto.
Ezio Menzione