Ho scoperto, grazie ad un amico, il sito e m’è venuta voglia di raccontare….
Il mio orto di pace in Garfagnana.
Le cose della vita m’hanno portato qui. C’erano dei ruderi e come in tutti i ruderi che si rispettino c’erano dei fantasmi. C’erano desideri mancati e ricordi o memorie che dir si voglia. Abbiamo iniziato con il farro che qui basta seminare per molto raccogliere, poi ho provato il granturco otto file e le lenticchie ma nel frattempo ho iniziato a fare timidi tentativi di orto.
L’orto, comunque vada, è in una pericolosa zona di confine tipo alla fine del giardino dove inizia la zona moglie, una zona minata, la zona dove l’abito pare aver la meglio sul monaco. Il giardino infatti è mondano e vanesio mentre l’orto richiama l’ora et labora di benedettina memoria, l’inizio di una cella segreta, un velato eremitaggio .
Dopo aver sbagliato posto per anni, per un motivo o l’altro, un giorno sono arrivati due anziani ometti che sono nati qui e si sono raccontati. Infanzia, giovinezza, guerra e esilio. Da quel giorno ho saputo che i vecchi facevano l’orto in una zona piuttosto lontana dalla casa per via della buona terra selvina e dell’acqua di un torrente a disposizione per annaffiare. Da quel giorno ho iniziato a meditare sulla possibilità di ripulire quel terreno ormai reso inaccessibile da rovi di varia specie. Un terreno di silenzio e di pace, lontano dagli occhi.
M’ha aiutato Jacopo. Jacopo è uno un po’ più giovane di me che è nato in queste zone…vive a Battifoglio. Ha sempre fatto il contadino e vive sul trattore FIAT. Jacopo conosce queste terre.
Era amico del vecchio padrone ed ora è mio amico anche se con qualche riserva, necessaria per il rispetto del defunto padrone.
Per lui ero e sono un cittadino che non ci capisce nulla di terra, di vino, di semi, di alberi, di motoseghe, di frullini. Lui m’aiuta ma io non lo pago perché Jacopo non tocca soldi. Non li tocca, non li vuole e non li ha. Jacopo è rimasto all’economia dello scambio che non è così semplice ed ha regole sue primitive. Un giorno dice che gli farebbero comodo dei vecchi travi o un vecchio motorino arrugginito e sai che sono le sue paghe che porterà ad altri che in cambio gli daranno altre cose che alla fine si trasformano in qualcosa che gli serve, tipo il pieno di gasolio o un pezzo nuovo per il vecchio trattore. Jacopo non tocca denaro ma neppure il telefono che per lui non esiste e non serve come mezzo di comunicazione. Lui adesso vede, dall’altra parte della valle, la mia finestra illuminata o il camino fumante e sa l’unica cosa che gli interessa sapere di me: ci sono. Prima o poi apparirà con il suo trattore attraversando il fiume d’estate o per le vie normali in inverno.
Ecco come mai faccio l’orto.
Mi riconcilio con la mia parte primitiva. Con i principi. Con la Madre Terra.
Mentre annaffio rimango immobile per ore. Il mio orto è su una via di serpenti. Passano lenti e tranquilli, se mi muovo si fermano, mi guardano poi scappano veloci. Ho anche un amico fagiano a farmi compagnia. Un amico che non avrà vita facile perché qui son tutti cacciatori.
Alle sei del pomeriggio suonano le campane dei paesi vicini, si iniziano a sentire i versi dei caprioli. Prego o qualcosa di simile.
Il rumore di un treno lontano avvisa che è ora del ritorno a casa. Ritorno a rumori e odori di una cosa strana che si chiama famiglia, che si chiama ruolo… e quando torno faccio come vedevo fare al mio nonno Angélo. Mi lavo, mi cambio le calzature, accendo la radio esigendo che tutti rispettino il mio desiderio di riposo e di informazione…ma il discorso dei principi è un po’ complicato e anche io pensavo, tanti anni fa, che mio nonno fosse palloso.
Franco Picone:[email protected]