Un Orto di Pace a Gradisca d’Isonzo
Nel Comune di Gradisca d’Isonzo (GO) sorge un “Centro di Accoglienza dei Richiedenti Asilo ” dove sono accolti immigrati scappati dal loro Paese a causa della guerra, di discriminazioni politiche, cultura o di genere. Giunti in Italia chiedono asilo, ossia protezione, al nostro Paese perché ritornando nel loro rischierebbero la vita. In questa struttura vengono accolti in attesa di potersi presentare davanti ad una commissione territoriale a cui spiegare il motivo della richiesta: la commissione deciderà entro 6 mesi circa se accordare loro la protezione e per quanto tempo.
In queste strutture collettive si trovano centinaia di persone che non potendo lavorare fino a quando non ottengono una risposta, non possono far altro che aspettare (non sempre l’iter si conclude in 6 mesi, ci sono persone che attendono da più di un anno). L’attesa è massacrante dal punto di vista psicologico, tutto dipende da un si o un no, che deciderà della loro vita, letteralmente.
Non è difficile capire la situazione che si vive li dentro, sono molte le persone che ne escono psicologicamente deboli e provate, senza dimenticare che sono state già provate dal viaggio e dalle mille peripezie per arrivare fino a qui…
Le donne e bambini sono numerose fra gli ospiti del CARA ed è a loro che ci siamo rivolti con questo micro progetto di un orto, sappiamo infatti che in molti Paesi sono proprio le donne ad occuparsi dell’orto con cui sostentare la famiglia. Le signore che aderiscono al progetto provengono dall’ Afghanistan, Congo, Pakistan, Guinea, Bangladesh… con età compresa fra i 15 ed i 45 anni. Chi è venuta con la famiglia chi è stata costretta a lasciare figli e marito (morto o disperso)… La maggior parte aspetta di parlare con la commissione, altre aspettano la risposta ed altre ancora hanno avuto la risposta negativa e stanno facendo ricorso.
Donne semplici con l’unico desiderio di ricostruire la loro vita o dare un futuro ai loro figli.
Abbiamo quindi pensato che il giardinaggio potesse costituire un momento di svago allontanandole sia fisicamente sia mentalmente dal centro per i rifugiati e fosse anche un modo per “integrarle” nel paese che le ha accolte oltre che per ricordare le loro origini attraverso cibi a loro familiari.
La prima attività che abbiamo svolto è stata la consultazione di alcuni libri e cataloghi di ortaggi per scoprire quali verdure erano solite mangiare e coltivare nei loro Paesi d’origine in modo da impararne i nomi italiani e scegliere quelli adatti ad essere coltivati qui. Per il momento la scelta è stata limitata a poche semplici specie, adatte all’impianto a giugno inoltrato e destinate per lo più al consumo a crudo quali pomodori, cetrioli,peperoni, peperoncini, basilico e melanzane.
Abbiamo inoltre dovuto fare i conti con i ridotti mezzi ed il piccolo spazio disponibile.
Con il supporto della Caritas di Gorizia, che ha già organizzato un Centro diurno con corsi di italiano per adulti e corsi doposcuola per i bambini, e grazie alla disponibilità del Comune di Gradisca d’Isonzo che ha consentito l’uso degli spazi esterni al Centro abbiamo iniziato questo progetto che già alla prima prova pratica ha rivelato grandi sorprese: ho cercato di spiegare che avremmo dovuto vangare due strisce di terreno secondo tutte le buone regole dell’orticoltura e di mostrare come ciò andava fatto ma appena ho passato a loro gli attrezzi ho constatato che più di una signora usava con grande abilità e vigore la zappa ottenendo risultati migliori della nostra bella vangatura a regola d’arte! E poi ho visto i gesti lenti e ritmici delle mani che toglievano i ciuffi d’erba dalla terra smossa, fatti da chi li compie da centinaia di anni in modo uguale, e ciò mi ha trasmesso un senso di rispetto per la terra, un accudirla come fosse un figlio piccolo o forse proprio quella madre terra di cui tanto noi parliamo ma con cui abbiamo perso il contatto profondo.
Quando il primo giorno abbiamo terminato la sistemazione del terreno ho visto un po’ di delusione nei loro occhi: speravano già di poter piantare qualcosa…
La settimana successiva è venuto il grande momento: mettere a dimora le piantine che in parte la Scuola Agraria di Gradisca ed in parte un generoso vivaista goriziano ci hanno regalato.
C’era una grande animazione, entusiasmo come di bambine che giocano, tanta voglia di fare e di fare presto, come se qualcuno potesse all’improvviso venire a interromperle, a rovinare quel momento di festa. Non ho potuto fare a meno di chiedermi da quali tribolazioni e patimenti siano scappate queste donne, che pure si presentano a me così sorridenti e disponibili.
Poi ho visto lo stupore di fronte ai fiori, mi è spiaciuto non poter comunicare meglio con loro (i problemi di lingua sono parecchi, ci districhiamo tra italiano, francese ed un po’ di tedesco ed inglese) ma le ho viste meravigliate all’idea di mettere pelargoni e zinnie nei vasi a decorare il nostro piccolo orto…. chissà se riuscirò a farmi spiegare il perché.
Ora stiamo continuando ad innaffiare e diserbare manualmente il nostro piccolo orto e a breve i primi frutti saranno maturi, nonostante una grandinata particolarmente violenta abbia acciaccato le piantine di pomodoro ed un po’ di mal bianco si sia insinuato fra i cetrioli.
Vi faremo sapere quali frutti riusciremo effettivamente a raccoglie nel corso di questa ormai torrida estate.
La speranza mia e della dottoressa che segue il corso di italiano, e che è stata il ponte fra me e queste donne, è che quest’esperienza possa continuare e come spesso dicono loro “Shuè shuè”, piano piano, un passo alla volta il centro riesca ad organizzare oltre a un più grande “orto di pace” anche attività per la pace tra gradiscani e richiedenti asilo.
Simona Frigerio, luglio 2012