Già nel 2012 a Gradisca d’Isonzo era stato impiantato un piccolo “orto di pace”, appena due aiuole, con l’aiuto delle ospiti del C.A.R.A. (centro accoglienza richiedenti asilo) nel cortile di un’ex scuola concesso in uso dal Comune e gestito dalla Caritas diocesana di Gorizia. L’esperimento aveva dato buoni frutti e grandi soddisfazioni e quindi è stato riproposto negli anni successivi, si è ampliato, ha trovato spazi più consoni e nel 2016 ha raggiunto il quinto anno di attività.
Ora occupa poco meno di mille metri quadri è recintato e dotato di una casetta per riporre gli attrezzi, a breve sarà anche dotato di un pozzo per l’irrigazione che attualmente viene garantita tramite due cisterne. Nell’attesa che le parcelle che lo compongono vengano affidate ai cittadini per creare un vero e proprio orto sociale, 400 metri quadrati sono stati coltivati da un gruppo di richiedenti asilo grazie ad un progetto di integrazione promosso dal Comune e gestito da Caritas, con ottimi risultati in termini produttivi ma soprattutto umani, nel periodo da aprile a novembre 2016.
Durante le mattine di attività nell’orto (due ore due volte a settimana) si faceva pratica di lingua italiana e di regole di buona educazione, dalla richiesta cortese degli attrezzi all’uso dei sacchi per depositare le immondizie prodotte, mentre si apprendevano le basi dell’orticoltura per chi ne fosse a digiuno e si scambiavano informazioni sui metodi di coltivazione con chi aveva avuto un orto a casa propria o addirittura era stato agricoltore. Spesso abbiamo ricevuto la visita di qualche cittadino incuriosito dall’attività, il più delle volte recante una merenda, sempre assai gradita nella pausa dell’attività e occasione ulteriore per stringere rapporti interpersonali con i residenti.
L’orto è stato condotto in maniera assolutamente biologica senza far uso di alcun tipo di antiparassitari (abbiamo raccolto a mano le larve di dorifora!) e questo ci ha permesso di insegnare il rispetto per l’ambiente circostante. Il furto delle bellissime angurie, avvenuto l’anno precedente quando ancora non c’era la recinzione, è stato il pretesto per introdurre le regole sulla proprietà. Ogni ortaggio e lavorazione è stato veicolo delle usanze tipiche del nostro Paese in materia di coltivazione e alimentazione.
Il gruppo di partecipanti è sempre stato costituito da più di trenta ospiti di varia nazionalità, tutti estremamente desiderosi di lavorare, di dare attraverso la coltivazione un senso e forse anche un piccolo scopo a quel periodo sospeso che è l’attesa di risposta alla domanda di asilo. Così abbiamo potuto vangare e strappare le erbacce, seminare e trapiantare. Nonostante il clima piuttosto bizzarro di questa primavera/estate i risultati non sono tardati, cominciando dalle fragole, per passare poi a pomodori, zucchine, cetrioli, patate, cipolle, peperoni e melanzane oltre ad angurie e meloni che quest’anno abbiamo potuto anche gustare tutti insieme. Certo le dorifore hanno messo a dura prova il nostro campo di patate e il freddo primaverile ci aveva fatto temere il peggio ma i ragazzi hanno sempre dimostrato grande entusiasmo e non si sono certo lasciati scoraggiare dai piccoli inconvenienti che ogni ortolano incontra. Dopo l’estate ci siamo dedicati anche alle colture invernali e nonostante le gelate precoci di novembre abbiamo raccolto finocchi e porri, verzotti e cavoli cappucci. Non sono neppure mancati i fiori: bellissime begonie hanno contornato alcuni spazi fino ai primi freddi mentre una meravigliosa fioritura di cosmee ha rallegrato un’aiuola a forma di cuore che i ragazzi hanno realizzato come simbolo di gratitudine verso la cittadina che li ospita.
Un aspetto da sottolineare è che il raccolto dell’orto è stato destinato in gran parte alle famiglie bisognose della provincia, attraverso l’emporio della solidarietà di Gorizia, Gradisca e Monfalcone e attraverso la mensa dei frati cappuccini di Gorizia, cui venivano consegnate le verdure appena raccolte. Dunque il prodotto è stato donato a chi ha bisogno di cibo mentre chi lavora nell’orto lo fa gratuitamente, ricevendo in cambio qualche ortaggio ma soprattutto ricevendo dignità: la consapevolezza di poter essere utile a qualcun altro alimenta la speranza di riacquistare la propria dignità di persona, aiuta nella ricerca di una vita normale e decorosa affrancandosi dall’equazione che troppo spesso si sente ripetere per cui ogni straniero è un sicuramente un mascalzone.
Dott.sse Simona Frigerio e Valentina Busatta