Cosa c’è di nuovo
[Finzione scenica] ‘Il pianto degli eroi. L’Iliade e le Troiane nel carcere di Bollate’ È un film di Bruno Bigoni e Francesca Lolli girato a Bollate. Bello. Gli attori (ma non le attrici) sono ospiti di Bollate e nella rivisitazione della guerra di Troia mettono molta parte della loro guerra privata: quella che li ha portati dentro e quella che li aspetta fuori, quando usciranno. È la guerra con sé stessi (prima e dopo), con la vita in carcere, con l’orizzonte ristretto. La foto che vedete è una scena del film, girata nell’estate 2023 in carcere. Quella prateria da cui spuntano gli attori non è finzione scenica. Del resto, come avrebbe potuto ergersi statuario Ulisse se al posto dell’erba alta ci fosse stato un pratino ben rasato? Tagliare e ritagliare, potare e ripotare: di solito è l’accanimento che detta le regole della manutenzione nelle istituzioni totali (a voler ben vedere, anche in moltissimi giardini privati). Il giardinaggio in carcere e nelle comunità che accolgono tossicodipendenti o pazienti psichiatrici non è una novità. Scarica i nervi, si sarebbe detto una volta. In realtà è un modo come un altro per riempire il tempo vuoto della galera o del manicomio e – grazie a una siepe potata fino a morirne o un prato tagliato come se si dovessero tenere gli Open nazionali di golf – serve a dare un senso alle spianate di cemento che avrebbero potuto essere pensate come spazi aperti in cui giocare a carte sotto un albero, sentire la musica sdraiati per terra, coltivare un orto o una delle migliaia di altre cose che in natura si possono fare. Ma a volte succede (per fortuna abbastanza spesso, a Bollate) che l’erba non venga tagliata, un po’ per pressapochismo dell’ordine costituito e molto per la resistenza ostinata di noi giardinieri, paladini del minimo sindacale di biodiversità. Da inaspettati corridoi ecologici tra le crepe del muro di cinta si intrufolano topi, topastri, gatti randagi, bisce, anatroccoli, coniglietti, qualche riccio e poco altro. E eleggono a propria dimora i prati, gli orti, i giardinetti spontanei dei reparti (e il vivaio). Forse non per tutti, ma per molti è confortante sapere che il carcere non è il regno dell’ordine. Vuol dire che, malgrado tutto, c’è vita.
[Vengo anch’io! No, tu no] Nella puntata di ‘Giardinieri per un giorno’ di novembre scorso si parlava di potature: moltissimi gli iscritti e altrettanti quelli che non hanno potuto partecipare per via del numero chiuso. Queste righe sono per loro e per chi avesse voglia di leggere una sintesi di quello che è stato detto nella giornata.
Potare può essere utile ma raramente è indispensabile. Piuttosto, è indispensabile capire che l’obiettivo fondante della potatura è far circolare aria, acqua e luce all’interno della pianta.
Potatura di risanamento. Si tagliano i rami secchi, quelli malati, quelli che si incrociano e quelli deboli: detto, fatto.
Potatura di svecchiamento. Passa il tempo, gli arbusti a ceppaia (dalla spirea all’abelia, passando per rose, lillà e forsizia) crescono e rami giovani e vecchi – per capirsi: legno più scuro, più grinzoso, con una corteccia più dura – si intersecano, si incrociano, si affastellano. E’ arrivato il momento di tagliare alla base i rami più vecchi per favorire la crescita dei giovani (ma va?). Non tutti, non troppi.
Potatura di contenimento. La prossima volta, pensateci meglio. Così non sarete costretti a contenere una pianta perché è diventata troppo grande per la posizione cui l’avete destinata. Anche nel giardinaggio vale il vecchio adagio: prevenire per non reprimere. Per accorciare un ramo vale una sola regola: il taglio di ritorno. Ovvero, tornare indietro verso un ramo secondario il cui diametro sia tra 1/3 e 2/3 inferiore al ramo principale e tagliare immediatamente al di sopra.
Mai dimenticare le gemme latenti perché la vendetta è un piatto che si serve freddo. Se capitozzate o fate un taglio di ritorno colpevolmente sproporzionato le gemme latenti, che sono quelle che garantiscono la sopravvivenza della pianta ogni volta che l’uomo si azzarda a toccarla, esplodono. Così quella bella betulla che avete avuto l’impudenza di tagliare riparte con mille rami – ramini – rametti che sostituiscono quello caduto in battaglia. E l’elegante albero slanciato e flessuoso che era diventa molto simile all’attacapanni della nonna. Brutta ma viva (la betulla, non la nonna).
Post scriptum
Tagliare d’inverno la vegetazione secca delle erbacee perenni o delle graminacee non è una potatura ma semplicemente un’operazione di riordino e rassetto. Come sparecchiare la tavola: si può fare un istante dopo avere finito ma anche il giorno successivo senza che muoia nessuno.
Se la pianta è giovane, prima di potare aspettare che si assesti nel vaso o in piena terra.
Sorvoliamo sulle differenze di potatura tra le piante che fioriscono sui rami dell’anno e quelle che fioriscono sui rami dell’anno precedente, che già la formulazione genera ansia. E anche sulla potatura delle siepi o delle ortensie e su centinaia di altre cose che andrebbero ragionate e approfondite. Perché questo è un bigino, non la bibbia: corre la stessa differenza che c’è tra un pensiero di senso compiuto e un tweet.
[Gemellaggio Bollate – Taipei] Cacciatori di piante: tantissimi sono i libri che raccontano di uomini che nel passato hanno girato per il mondo e portato – per lo più nella vecchia Europa – semi, talee, plantule. Erano botanici, esploratori, avventurieri e missionari, scienziati e mercanti. Titoli, per chi tra Natale e Capodanno avesse voglia di leggere: Michael Tyler Whittle I cacciatori di piante, ed. Derive e Approdi, 2015. Stesso titolo per il libro di Mary e John Gribbin, Raffaello Cortina Editore, 2005. Poi, Modern plant hunter’s di Sandy Primerose, Pimpernel , 2020. E, dagli archivi dei Kew Gardens, uscito nel 2021, The Plant Hunter’s Atlas con più di 100 illustrazioni e disegni e le storie di tante scoperte botaniche. Se cercate un po’ in rete o dal vostro libraio, ne troverete parecchi altri. Siete anche facilitati nella ricerca perché cambiano i contenuti ma il titolo è sempre lo stesso. Curiosi ma tetragoni.
Ma questa cosa del cercar piante ha un suo lato più prosaico. Quanti di voi vanno per boschi e si portano a casa un elleboro, un Hepatica nobilis o un piccolo pino mugo? Tanto, ce n’erano tanti. Ce n’erano: adesso quanti ne sono rimasti? E quanti ne rimarranno? A volte un po’ di sano moralismo integralista non guasta: bene comune, difesa della biodiversità, specie protette. Passi per il seme, passi per la talea ma l’intera pianta no. Viene in aiuto (ma risale al 1992) anche la Direttiva Habitat del Ministero dell’Ambiente per la conservazione degli habitat naturali. Applicata, ma non applicatissima verrebbe da dire, se si pensa all’alta velocità, alle migliaia di km di autostrade, superstrade, varianti, pedemontane e ponti sullo stretto di Messina. Va così.
L’abbiamo presa molto larga per dire che, nel lontano oriente, il nostro Fine Botanico (quasi una guida spirituale per chi frequenta il vivaio) ha raccolto i semi di Rivina humilis, parente alla lontana della meravigliosa e temutissima Phytolacca americana. E’ un piccolo arbusto sempreverde: bei fiori, bellissime bacche, rapido nella crescita, adatto anche all’ombra. E – come dicono quelli che di giardinaggio ne sanno per davvero – ottima foundation plant. Ovvero quelle piante che spuntano dalle fondamenta della casa e sembrano aver trionfato sul cemento. Tanto da farci dimenticare che là dove c’era l’erba ora c’è una città.
Buon natale e buon anno da Cascina Bollate
“Le rose ‘Paul Neyron’ erano degenerate; eccitate prima e rinfrollite poi dai succhi vigorosi della terra siciliana, si erano mutate in una sorta di cavoli color carne, osceni, ma che distillavano un aroma denso, quasi turpe. Il Principe se ne pose una sotto il naso e gli sembrò di odorare la coscia di una ballerina dell’Opera. Benedicò [il cane], cui venne offerta pure, si ritrasse nauseato e si affrettò a cercare sensazioni più salubri fra il concime e certe lucertoluzze morte”
(Giuseppe Tomasi di Lampedusa ‘Il Gattopardo’ ed. Feltrinelli, 1958)
Ci sentiamo tra un mese. Grazie di aver letto fino a qui.
Siamo il vivaio nel carcere di Bollate, a Milano.
Cascina Bollate è una cooperativa sociale in cui lavorano giardinieri liberi e giardinieri detenuti che imparano un mestiere che dà un senso alla loro pena, finché sono dentro, e una chance al loro futuro, quando usciranno. Perché imparare un lavoro in carcere è un buon modo per non tornarci più.
www.cascinabollate.org