In Calabria ogni cosa ha il suo rovescio. Lo scrivevano i viaggiatori del Grand Tour imbattendosi in una natura piena di contrasti. Oggi lo sostiene chi sa vedere oltre le cronache, quelle dove la ‘ndrangheta è ancora cruenta protagonista, anche se incalzata dalle forze dell’ordine e dalla magistratura e fronteggiata da una nuova leva di amministratori locali che sulla legalità non transigono. Come dimostrano le storie delle donne-sindaco anti ‘ndrangheta – a Monasterace, Rosarno, Isola Capo Rizzuto, Ferruzzano, Canolo, Parghelia – raccolte da Goffredo Buccini nel saggio “Italia quaggiù” in uscita da Laterza.
La bella Calabria, alternativa ai consueti stereotipi, non fa rumore. Cresce in una scuola di Oppido Mamertina dove sta sbocciando uno piccolo miracolo educativo. Avanza sui passi di un coltivatore di bergamotto di Amendolea di Condofuri. Ha la caparbietà del subacqueo Francesco Turano: 5000 immersioni nello Stretto per raccontare poeticamente le meraviglie che stanno tra Scilla e Cariddi.
Gli insegnanti si alzano all’alba. Soprattutto se lavorano all’Istituto Superiore Statale di Oppido Mamertina. Quelli che vi arrivano da Reggio Calabria condividono l’auto: per tagliare le spese e perché la strada è lunga e lenta. Prima si viaggia infatti su quell’eterna incompiuta che è la A3 e poi si imbocca la strada – voragini, frane, fiumare che esondano – che dalla piana di Gioia Tauro porta sino a Oppido, 5.000 abitanti, nota in Italia per una faida tra cosche che dal 1992 al 2012 ha provocato più di venti morti.
A Oppido, Liceo Scientifico e Istituto Tecnico Informatico sono stati accorpati nel 2000 e avrebbero dovuto avere subito una nuova sede. Non è stato così: dopo aver gettato le fondamenta del nuovo edificio a fianco delle vecchie aule i lavori si sono interrotti. Accanto all’orto curato dai ragazzi spiccano cemento e armature arrugginite. Le lezioni stanno per cominciare: una ragazza del liceo sta riempiendo di acqua due secchi a una fontanella del cortile. Serviranno per i servizi igienici della scuola. Oggi, e succede di sovente, l’acqua non è arrivata in questa parte di Oppido.
Ci vuole altro, però, per demoralizzare la gente – ragazzi, insegnanti e la tostissima dirigente scolastica Francesca Morabito – di questo Istituto, ancora senza nome, che si staglia come una nuova Barbiana. Invece di un don Milani c’è un gruppo di insegnanti che, nonostante le difficoltà, cerca di fare bene il proprio lavoro.
Non c’è un’ aula magna e ci si assiepa nell’aula più grande per dar vita a un improvvisato confronto. Sono in molti a prendere la parola. Ragazze e ragazzi raccontano la realtà locale, dove il peso della ‘ndrangheta si sente ancora quotidianamente. A volte tragicamente: il padre di uno di questi studenti aveva una piccola impresa. E’ stato ucciso perché si è rifiutato di pagare il pizzo.
La situazione – dicono – muterà se il cambiamento inizierà da loro stessi. Fondamentale è confrontarsi con altri orizzonti: non per scappare da qui ma per capire come si diventa cittadini di un Paese normale. Le finestre sul mondo si sono moltiplicate da quando è arrivato, a insegnare filosofia e storia, Agostino Scordino, viandante della vita e con un’inesauribile disponibilità a guidare questi studenti verso le mete più diverse.
Esempi? Attingendo con prontezza ai bandi comunitari un gruppo dell’ultimo anno ha trascorso un mese a Londra, durante le Olimpiadi. A casa hanno portato, oltre a una maggiore familiarità con l’inglese, il poster della metropolitana: l’hanno trasposto sulla mappa della Piana dove vivono. Per far capire come cambierebbero le cose se qui, dove alle strade pessime si aggiunge la recente soppressione della ferrovia locale, i paesi non fossero tenuti isolati come sono.
Gli studenti dell’ultimo anno dell’Informatico, preparati al meglio nelle aule dotate di computer e internet, hanno invece partecipato questa estate a uno stage a Bolzano: “Ragazzi, qui siamo sotto esame. Fate vedere quanto valete…” hanno detto loro i professori. Consapevoli dei molti pregiudizi che li circondavano, tutti hanno dato il meglio di sé. Molti sono già stati prenotati per un posto di lavoro che forse li porterà lontano da casa. E’ il destino di molti, da queste parti, se le cose non cambiano.
Altre finestre aperte? Tante. Con i loro insegnanti hanno scarpinato sulle trincee della Grande Guerra per studiare meglio il primo conflitto mondiale. Quindi sono andati a Marzabotto, nell’appennino bolognese, per imparare qualcosa di più sull’occupazione nazista e la Resistenza. Una classe, sotto Natale, è andata a prestare servizio alla mensa di Scampia: per capire quello che forse “Gomorra” non riesce a spiegare. Molti dei ragazzi e delle ragazze della scuola, assieme ad alcuni docenti, hanno creato un’associazione culturale, “Ricerca Alternativa”, che ha diversi progetti: risistemare un edificio dismesso per avere dove ritrovarsi al pomeriggio, organizzarvi iniziative culturali e ricreative. Intanto, con la stagione della raccolta delle arance, hanno deciso di produrre una marmellata bio. Marchio “Ricerca Alternativa”, naturalmente. I vasetti sono stati venduti nei mercatini per finanziare nuovi viaggi e le prossime attività di quella che – variati i tempi e i protagonisti – assomiglia appunto a una Barbiana scivolata lungo l’Appennino. Sino ai piedi dell’Aspromonte.
Bisogna invece scendere a mare, a Reggio Calabria, per incontrare un personaggio che meriterebbe di essere raccontato più ampiamente: Francesco Turano, 48 anni, fotografo subacqueo e illustratore che narra – anche attraverso le immagini dei suoi libri di stupefacente impatto ( www.francescoturano.it ) – le meraviglie che stanno nascoste in questo spicchio arcaico e mitico del Mediterraneo. Turano – sfidando le correnti che ogni sei ore si alternano con forza tra Scilla e Cariddi e portano su dagli abissi pesci che vivono in profondità – da anni si immerge quasi ogni giorno. Scatta fotografie apprezzate da riviste specializzate di tutto il mondo e, una volta là sotto, con matita grassa su tavoletta cerata, si dedica alla sua principale passione: disegnare le creature che gli passano sotto gli occhi, tracciare i profili delle montagne sotterranee, gli schizzi dei relitti che costituiscono il nascosto paesaggio delle sue ricognizioni.
Bisogna invece tornare e terra e proseguire sull’altro lato dell’Aspromonte, verso Amendolea di Condofuri, per arrivare alla piantagione di bergamotto di Ugo Sergi. Avvocato, una quindicina di anni fa, si è trovato di fronte a due alternative: vendere la proprietà di famiglia, dedicandosi al suo studio legale, oppure coltivare ancora quelle 3.000 piante di bergamotto, il “principe degli agrumi”, e piazzare il raccolto, come si faceva da sempre, presso i pochissimi grossisti che hanno il monopolio dell’essenza di bergamotto, fondamentale per fissare i profumi.
Partecipando a fiere internazionali e sbrogliando, dagli Stati Uniti a Londra, un intreccio da spy-story industriale (perché sul mercato mondiale l’essenza era venduta a meno di quanto i grossisti la pagavano ai produttori?) – Sergi ha imboccato una terza alternativa: coltivare come natura vuole e produrre, senza interventi della chimica, un’essenza rigorosamente bio subito apprezzata da Anita Roddic, la fondatrice dei prodotti naturisti della Body Shop. Così Sergi, e gli altri produttori locali aderenti alla coltivazione biologica, hanno trovato nuovi sbocchi presso la più sofisticata biocosmesi internazionale. Anche perché la fragranza del bergamotto dà effetti vitalizzanti, ed euforizzanti, tanto che chi possiede piantagioni di bergamotto raramente se ne distacca. Per esperienza diretta sa che stare vicini al “principe degli agrumi” scaccia l’ansia, infonde ottimismo e buon umore. In poche parole, regala felicità.
(gboatti venus.it)
© 2013 Giorgio Boatti