Quando vai a vivere in collina le espressioni che colorano le considerazioni di parenti e amici sono invariabilmente due, secondo la stagione. Primavera-estate: Ah, che aria buona. Autunno-inverno: Ah, la stufa a legna.
C’è del vero in queste – non proprio originali – perle di saggezza: chi fa la scelta di trasferirsi dalla città alla campagna lo fa per l’aria buona e anche tornare a quella vita più semplice e di unione con la Terra che viene ben rappresentata dalla stufa a legna.
Le case di campagna antiche si trovano spesso già presidiate da qualche gloriosa stufa in ghisa del nonno o dalla raffinata Franklin della bisnonna. Non ho avuto questa fortuna e, quando ho deciso di abitare la casa di campagna anche d’inverno, ho dovuto affrontare dal nulla una scelta e una spesa, entrambe non leggere. Per cominciare, mi sono imbattuta in una selva di modelli di stufe, di questi tempi l’offerta è tale che per mesi ho sofferto il freddo attaccata a caloriferi insufficienti, prima di decidere quale fosse il “tipo” giusto per me. Sono stata letteralmente sommersa da depliant, volumi illustrati, tutti con accattivanti ambientazioni insieme a un groviglio inestricabile di dati, calorie, consumi, resa, tipo di propagazione del calore, metricubi, metriquadrati, canna fumaria, giro fumi, e solo adesso posso affermare che una buona stufa a legna si riconosce principalmente per quel suo aspetto poco rassicurante da belva a riposo.
Non è un metodo che potrà vantare una qualche certificazione ISO ma più la stufa sarà di inquietante possanza, e incuterà un senso di paurosa e sommessa energia, più si tratterà di un acquisto di grande soddisfazione. Se si scelgono i modelli che riproducono quelli antichi, l’impressione sarà di aver portato a casa un mostro marino in catalessi, se si è optato per lo stile moderno, allora sembrerà di veder apparire sulla soglia un alieno ancora stordito dalle distanze siderali. In ogni caso, entrambi dimostreranno ben presto di essere dei diligenti e caldi cuccioloni e i nostri brividi di inquietudine saranno vinti dalle prime fiamme alte, ben chiuse nel solido corpaccione.
Una volta individuata e installata la stufa, l’unico problema rimasto dovrebbe essere la scelta della poltrona. Se si hanno degli animali, meglio prevedere intorno molti cuscini per tutti, perchè la stufa a legna attrae, il suo calore assomiglia al velluto di seta sulla pelle ed è difficile staccarsene, anche per il suo odore personale che sa sempre di buono, legno aromatico e affumicato. Con la stufa accesa in casa succederà come con la torta di panna e cioccolato messa giudiziosamente in un’altra camera in attesa di essere consumata a fine pranzo: tutti vorranno andare spesso a vedere come sta!
Ma l’imbottitura della poltrona è ancora l’ultimo dei problemi, adesso è necessario imparare a scegliere la legna, le migliori si dice siano robinia e rovere, che sono più compatte e bruciano più lentamente, è importante verificare di persona quali siano le sue condizioni, cioè se è stata appena tagliata o è stagionata al punto giusto, se è bagnata, umida o secca. Dicono che la legna più è vecchia meglio è, ma non è sempre vero, quando è troppo asciutta, cioè stravecchia, brucia in un amen e ci si trova, più spesso di quanto si vorrebbe, a caricare “quella dannata stufa”. Però la legna non deve neanche essere troppo giovane, perché non si accende mai prima di un centinaio di tentativi in cui consumiamo un’intera scatola di zolfanelli e ci si riempe la stanza di fumo. Inoltre, di qualsiasi tipo e qualità sia la legna che ci è toccata in sorte, una volta stivata in legnaia, va sorvegliata perché esiste il “pericolo tarlo”. Qualche tempo fa, ho fatto pulire un boschetto e ho sistemato la legna ricavata sotto una tettoia, secondo le istruzioni ricevute dalla gente di qui, ho deciso di lasciarla invecchiare qualche anno, prima di metterla nel camino. Pochi mesi dopo, della ponderosa catasta di legna era rimasta solo una forma vagamente armonica, per il resto, bastava soffiarci sopra per vederla disperdere in una rosea nuvola di segatura: i tarli si erano sganasciati dal ridere per la mia inesperienza e sganasciati pure dal tanto mangiare.
Ricapitolando. Per affrontare un buon inverno in campagna bisogna munirsi di una stufa mostruosa e di una equilibrata quantità di legna né magra né grassa. Per dare in pasto la legna alla stufa, bisogna pensare al formato giusto. Occorre prevedere l’acquisto di legni piccoli perchè il fuoco “prenda” e misurare l’ampiezza del focolaio della stufa per ordinare a misura i ceppi più grossi, quelli deputati a tenere la fiamma viva il più a lungo possibile. Così facendo la stufa sarà sempre caricata al meglio, il fuoco non verrà soffocato né languirà per un bel pezzo. In ultimo – armati da Santa Pazienza – prepareremo in appositi contenitori (cassette e vecchie sporte) le raccolte di bucce di corteccia e rametti sparsi, perché sarà da loro che la fiamma comincerà il suo magico percorso di erosione del ceppo.
La legna si ordina ad aprile per averla consegnata ad agosto (per ricordarsene, memorizzare le due A di Aprile e Agosto uguali alla A di stufa A legna), così non ci si bagna, né lei né noialtri che la riponiamo al coperto.
L’arrivo della legna è uno dei riti che segna il culmine della stagione calda.
Dopo laboriose ed elaborate manovre per entrare in cortile, un camion dalla ribalta per nulla gentile che si alza a comando, rovescia di colpo grandi e piccoli ceppi che rotolano sulla ghiaia alla rinfusa e con un certo fragore. Pochi minuti, poi la ribalta si allinea di nuovo al pianale e il camion e se ne va con tanto di spruzzatina di gas di scarico che, va bene in città, in campagna è come aver passato la mattina con la testa dentro il forno, in assetto suicida!
Adesso, che il camion se n’è finalmente andato con tutte le sue puzze, siamo davanti alla nostra montagnola di legna, rassicurati dal fatto che la legnaia non è poi così distante. Muniti di guanti da lavoro o da giardinaggio, cominciamo a raccogliere i ceppi, li lasciamo cadere nella carriola, facciamo il pieno, poi ci avviamo alla legnaia dove, a uno a uno, li ammonticchieremo in varie cataste. Conosco un signore che si diverte a lanciarli facendo delle piramidi, che però occupano molto spazio, io preferisco formare varie file di ceppi in ordine decrescente, le più alte in fondo. Così facendo si crea una sorta di paesaggio, una veduta a varia profondità, molto utile in caso qualcuno sia appassionato del presepe. Infatti, a Natale, la legnaia offre un paesaggio già pronto e spazioso senza spostare alcun mobilio di casa. Si dispongono le statuine sui vari strati di legna e l’effetto è decisamente bello. D’altra parte, la famiglia di Giuseppe sarà di certo vissuta nei pressi di una legnaia e non sembra disdegnare la sua semplicità.
Ritorniamo a noi: eccoci alla ventesina carriolata di legna, e non siamo neppure a metà della catasta. I guanti non riescono a nascondere i cerchi di dolore intorno ai polsi, le gambe sono un poco irrigidite, la schiena scricchiola, ma che cos’è la schiena se non un punto interrogativo riverso sulla parola inverno?
A quel punto, sempre felici di aver fatto la scelta giusta della vita di campagna, ma resi in questa certezza leggermente scalfiti dalla quantità di dolori che il nostro corpo sta sprigionando, cominciamo a capire il disorientamento di Mastro Geppetto davanti all’imponderabile. Un momento dopo, ci viene in mente lo stuolo di amici del “Ah, la stufa a legna”. Quindi, con qualche telefonata ben assestata, cerchiamo di risolvere brevi manu l’operazione chiamata in codice “la legnaia, l’inverno e tu”.
Ma non è così facile. Tra i “non posso proprio”, i “sto partendo” e i “devo finire un lavoro”, alla fine, con un’oretta al giorno (moltiplicato Infinito), ho riposto da sola la legna che mi occorrerà per l’inverno. Nel silenzio della campagna, rotto soltanto da qualche stridio di uccello e dal tonfo del legno sul metallo della carriola, anch’io, in tanta luce di fine estate, ho ricevuto la mia illuminazione, ho capito cioè perchè un ceppo è così pesante da portare.
Ogni legno che viene consegnato alla legnaia, alla legnaia verrà poi richiesto durante l’inverno. I ceppi sono segmenti di tempo temporaneamente addormentati gli uni sugli altri. Ma quando arriverà il momento, quando questo ceppo che ho tra le mani brucerà e diventerà fiamma, vita e calore, che cosa sarà successo per allora? Che cosa accadrà di me nei prossimi mesi, quali saranno i miei stati d’animo riflessi nel fuoco che si consuma, le mie ansie, il mio vivere? Nel legno forse è già tutto scritto, c’è, per chi lo sa intuire, una sorta di intaglio sottostante alla corteccia che racchiude i codici dei nostri giorni a venire. Basta capirlo e poi…dimenticarlo. Perché non è da tutti maneggiare il proprio futuro con le mani, protetti solo da un paio di guanti da giardinaggio!
In città, una caldaia a metano ti permette almeno di vivere alla giornata.
Le case di campagna antiche si trovano spesso già presidiate da qualche gloriosa stufa in ghisa del nonno o dalla raffinata Franklin della bisnonna. Non ho avuto questa fortuna e, quando ho deciso di abitare la casa di campagna anche d’inverno, ho dovuto affrontare dal nulla una scelta e una spesa, entrambe non leggere. Per cominciare, mi sono imbattuta in una selva di modelli di stufe, di questi tempi l’offerta è tale che per mesi ho sofferto il freddo attaccata a caloriferi insufficienti, prima di decidere quale fosse il “tipo” giusto per me. Sono stata letteralmente sommersa da depliant, volumi illustrati, tutti con accattivanti ambientazioni insieme a un groviglio inestricabile di dati, calorie, consumi, resa, tipo di propagazione del calore, metricubi, metriquadrati, canna fumaria, giro fumi, e solo adesso posso affermare che una buona stufa a legna si riconosce principalmente per quel suo aspetto poco rassicurante da belva a riposo.
Non è un metodo che potrà vantare una qualche certificazione ISO ma più la stufa sarà di inquietante possanza, e incuterà un senso di paurosa e sommessa energia, più si tratterà di un acquisto di grande soddisfazione. Se si scelgono i modelli che riproducono quelli antichi, l’impressione sarà di aver portato a casa un mostro marino in catalessi, se si è optato per lo stile moderno, allora sembrerà di veder apparire sulla soglia un alieno ancora stordito dalle distanze siderali. In ogni caso, entrambi dimostreranno ben presto di essere dei diligenti e caldi cuccioloni e i nostri brividi di inquietudine saranno vinti dalle prime fiamme alte, ben chiuse nel solido corpaccione.
Una volta individuata e installata la stufa, l’unico problema rimasto dovrebbe essere la scelta della poltrona. Se si hanno degli animali, meglio prevedere intorno molti cuscini per tutti, perchè la stufa a legna attrae, il suo calore assomiglia al velluto di seta sulla pelle ed è difficile staccarsene, anche per il suo odore personale che sa sempre di buono, legno aromatico e affumicato. Con la stufa accesa in casa succederà come con la torta di panna e cioccolato messa giudiziosamente in un’altra camera in attesa di essere consumata a fine pranzo: tutti vorranno andare spesso a vedere come sta!
Ma l’imbottitura della poltrona è ancora l’ultimo dei problemi, adesso è necessario imparare a scegliere la legna, le migliori si dice siano robinia e rovere, che sono più compatte e bruciano più lentamente, è importante verificare di persona quali siano le sue condizioni, cioè se è stata appena tagliata o è stagionata al punto giusto, se è bagnata, umida o secca. Dicono che la legna più è vecchia meglio è, ma non è sempre vero, quando è troppo asciutta, cioè stravecchia, brucia in un amen e ci si trova, più spesso di quanto si vorrebbe, a caricare “quella dannata stufa”. Però la legna non deve neanche essere troppo giovane, perché non si accende mai prima di un centinaio di tentativi in cui consumiamo un’intera scatola di zolfanelli e ci si riempe la stanza di fumo. Inoltre, di qualsiasi tipo e qualità sia la legna che ci è toccata in sorte, una volta stivata in legnaia, va sorvegliata perché esiste il “pericolo tarlo”. Qualche tempo fa, ho fatto pulire un boschetto e ho sistemato la legna ricavata sotto una tettoia, secondo le istruzioni ricevute dalla gente di qui, ho deciso di lasciarla invecchiare qualche anno, prima di metterla nel camino. Pochi mesi dopo, della ponderosa catasta di legna era rimasta solo una forma vagamente armonica, per il resto, bastava soffiarci sopra per vederla disperdere in una rosea nuvola di segatura: i tarli si erano sganasciati dal ridere per la mia inesperienza e sganasciati pure dal tanto mangiare.
Ricapitolando. Per affrontare un buon inverno in campagna bisogna munirsi di una stufa mostruosa e di una equilibrata quantità di legna né magra né grassa. Per dare in pasto la legna alla stufa, bisogna pensare al formato giusto. Occorre prevedere l’acquisto di legni piccoli perchè il fuoco “prenda” e misurare l’ampiezza del focolaio della stufa per ordinare a misura i ceppi più grossi, quelli deputati a tenere la fiamma viva il più a lungo possibile. Così facendo la stufa sarà sempre caricata al meglio, il fuoco non verrà soffocato né languirà per un bel pezzo. In ultimo – armati da Santa Pazienza – prepareremo in appositi contenitori (cassette e vecchie sporte) le raccolte di bucce di corteccia e rametti sparsi, perché sarà da loro che la fiamma comincerà il suo magico percorso di erosione del ceppo.
La legna si ordina ad aprile per averla consegnata ad agosto (per ricordarsene, memorizzare le due A di Aprile e Agosto uguali alla A di stufa A legna), così non ci si bagna, né lei né noialtri che la riponiamo al coperto.
L’arrivo della legna è uno dei riti che segna il culmine della stagione calda.
Dopo laboriose ed elaborate manovre per entrare in cortile, un camion dalla ribalta per nulla gentile che si alza a comando, rovescia di colpo grandi e piccoli ceppi che rotolano sulla ghiaia alla rinfusa e con un certo fragore. Pochi minuti, poi la ribalta si allinea di nuovo al pianale e il camion e se ne va con tanto di spruzzatina di gas di scarico che, va bene in città, in campagna è come aver passato la mattina con la testa dentro il forno, in assetto suicida!
Adesso, che il camion se n’è finalmente andato con tutte le sue puzze, siamo davanti alla nostra montagnola di legna, rassicurati dal fatto che la legnaia non è poi così distante. Muniti di guanti da lavoro o da giardinaggio, cominciamo a raccogliere i ceppi, li lasciamo cadere nella carriola, facciamo il pieno, poi ci avviamo alla legnaia dove, a uno a uno, li ammonticchieremo in varie cataste. Conosco un signore che si diverte a lanciarli facendo delle piramidi, che però occupano molto spazio, io preferisco formare varie file di ceppi in ordine decrescente, le più alte in fondo. Così facendo si crea una sorta di paesaggio, una veduta a varia profondità, molto utile in caso qualcuno sia appassionato del presepe. Infatti, a Natale, la legnaia offre un paesaggio già pronto e spazioso senza spostare alcun mobilio di casa. Si dispongono le statuine sui vari strati di legna e l’effetto è decisamente bello. D’altra parte, la famiglia di Giuseppe sarà di certo vissuta nei pressi di una legnaia e non sembra disdegnare la sua semplicità.
Ritorniamo a noi: eccoci alla ventesina carriolata di legna, e non siamo neppure a metà della catasta. I guanti non riescono a nascondere i cerchi di dolore intorno ai polsi, le gambe sono un poco irrigidite, la schiena scricchiola, ma che cos’è la schiena se non un punto interrogativo riverso sulla parola inverno?
A quel punto, sempre felici di aver fatto la scelta giusta della vita di campagna, ma resi in questa certezza leggermente scalfiti dalla quantità di dolori che il nostro corpo sta sprigionando, cominciamo a capire il disorientamento di Mastro Geppetto davanti all’imponderabile. Un momento dopo, ci viene in mente lo stuolo di amici del “Ah, la stufa a legna”. Quindi, con qualche telefonata ben assestata, cerchiamo di risolvere brevi manu l’operazione chiamata in codice “la legnaia, l’inverno e tu”.
Ma non è così facile. Tra i “non posso proprio”, i “sto partendo” e i “devo finire un lavoro”, alla fine, con un’oretta al giorno (moltiplicato Infinito), ho riposto da sola la legna che mi occorrerà per l’inverno. Nel silenzio della campagna, rotto soltanto da qualche stridio di uccello e dal tonfo del legno sul metallo della carriola, anch’io, in tanta luce di fine estate, ho ricevuto la mia illuminazione, ho capito cioè perchè un ceppo è così pesante da portare.
Ogni legno che viene consegnato alla legnaia, alla legnaia verrà poi richiesto durante l’inverno. I ceppi sono segmenti di tempo temporaneamente addormentati gli uni sugli altri. Ma quando arriverà il momento, quando questo ceppo che ho tra le mani brucerà e diventerà fiamma, vita e calore, che cosa sarà successo per allora? Che cosa accadrà di me nei prossimi mesi, quali saranno i miei stati d’animo riflessi nel fuoco che si consuma, le mie ansie, il mio vivere? Nel legno forse è già tutto scritto, c’è, per chi lo sa intuire, una sorta di intaglio sottostante alla corteccia che racchiude i codici dei nostri giorni a venire. Basta capirlo e poi…dimenticarlo. Perché non è da tutti maneggiare il proprio futuro con le mani, protetti solo da un paio di guanti da giardinaggio!
In città, una caldaia a metano ti permette almeno di vivere alla giornata.
Ilaria Beretta