Dal bel libro di Fabio Bertapelle Semi di giustizia (EMI, 2010)
Per gentile concessione dell’autore
IL VOLO DEL SEME
I semi sono l’immagine e il simbolo della povertà: per raggiungere la terra si affidano al vento, agli uccelli e agli insetti con la grazia dei loro profumi e colori; per vivere si accontentano dell’aria e dell’acqua, chiedendo aiuto al sole.
Hanno ali invisibili, che permettono alla loro caduta di diventare volo. E’ difficile pensare a qualcosa di più delicato; eppure poche cose hanno le loro stesse resistenza e forza di vita. E’ per me motivo di compassione vedere i semi crescere sui muri, alzare l’asfalto, adattarsi ai deserti. E’ grazie a questa incondizionata determinazione che l’uomo e gli animali possono continuare la loro avventura sulla Terra.
Il seme è anche il simbolo della continuità tra passato e futuro, qualcosa su cui tracciamo il segno indelebile del nostro cammino. Nascosto nella più piccola semente si cela un mondo enorme. Il germoglio forma la piantina, che lentamente si trasforma in un grande albero carico di foglie e di gemme, di frutti che a loro volta fecondano ancora la terra con abbondanza di altri semi. I regni vegetali ci tengono vivi con l’ossigeno, ci vestono, ci curano, sono le uniche forme di vita che donano energia (tutte le altre la consumano), portando il sole dentro di noi. Ogni volta che guardo gli alberi io mi ricordo di quei piccoli semi che si estendono come per magìa dalle radici ai frutti; dal loro dono si generano le piogge, e con queste i laghi, i fiumi, le cascate, il mare, che fluiscono grazie alle benedizioni verdi del chicco originario. Il seme è l’albero di sempre, contiene la comunità da cui proviene e le generazioni future. Da poco meno di cinquant’anni, nel breve arco di tempo della mia vita, abbiamo cominciato a svincolarci dal suo abbraccio; accecati dai troppi desideri, dalle promesse delle città e dai bagliori del benavere, ci siamo dimenticati di lui, lo abbiamo affidato alle cure della chimica, della genetica e del denaro. Ma il suo richiamo, che trascende i confini dello spazio e del tempo, continua a invocare la nostra presenza e la nostra responsabilità.
“Il seme proviene dalla pianta che non vedi più, e porta in sé quella che non vedi ancora”, recita un detto indiano.