Mentre nell’orto le foglie frastagliate dei cardoni spuntano ammosciate dai fogli di giornale messi a mo’ di cappottino e i radicchi da rossi si sono fatti lividi quasi neri, è una bella soddisfazione ammirare subito fuori dalla porta di cucina, per nulla mortificato dai rigori di stagione, il cavolo nero (Brassica oleracea var. acephala).
Le sue ramificazioni florali ma innocue – è pianta biannuale, nessun pericolo quindi che ci deluda fiorendo anzitempo – svettano sul gambo alto e snello. Resistentissimo al freddo e alle gelate, pare anzi trarne giovamento diventando più tenero e saporito. Il prossimo anno proverò a sistemarne uno, oltre che nell’orto, anche in un bel vaso di coccio, per averlo a portata di mano: nessuna buona zuppa toscana può farne a meno, per non parlare della bruschetta! Sigillate da una patina cerosa altrettanto efficace contro il freddo dell’olio di balena utilizzato dai traversatori della Manica, le foglie del cavolo nero contengono un’incredibile ricchezza di vitamine e minerali, incluso lo zolfo che, cuocendo, rilascia la puzza tremenda di cui è impregnato perfino Dostoevskij. Questa cera le rende lisce al tatto anche quando sono spugnose come nelle verza, o bitorzolute come nel cavolo nero, anzi: “crispato-bullate”, per usare il termine tecnico, quindi con il grosso della superficie protetto da una successione di camere d’aria. Quel verde scurissimo, dai riflessi blu-nerastri, pare concepito apposta per assorbire fino all’ultima goccia di luce di queste brevi giornate. A primavera ne seminerò per l’anno prossimo, in aiuola lasciata a riposo: infatti i cavoli vogliono terreno ben concimato, e servirsene per primi. La loro famiglia, estesissima, ci accompagna tutto l’anno fin dal paleolitico, quando si cominciarono ad addomesticare in Sicilia i cavoli selvaggi, rosette di foglie verde glauco, dai fiori gialli a forma di croce (donde il nome di crucifera per la famiglia cui appartiene il genere Brassica), e barocori, come si dice quando il seme germina cadendo per terra, e fa quindi ben poca strada rispetto alle piante diffuse dal vento o dagli uccelli.
Pia Pera, 28 gennaio 2007