Di giorno le ciabattine di plastica scivolano sull’asfalto liquefatto dai raggi del sole, tutti, ma proprio tutti, bambini adulti cani e gatti, hanno lasciato la loro impronta, come star del cinema all’apice del successo. Durante la notte, la luna e la luce dei lampioni illuminano i capannoni dello sfasciacarrozze che fiancheggia la via, qui una montagna di rottami, là i resti di automobili ancora da sventrare. Anche il mattino presto, nonostante il rumore del mare venga a lambirla fin lì, la strada risulterebbe disadorna, se non fosse per una rigogliosa siepe di caprifoglio (Lonicera caprifolium). Dalla parte opposta allo sfasciacarrozze si affaccia un giardino, per la precisione il lato più corto di un giardino-orto, tipico di questa parte del Sud Italia. Qui non esiste il concetto di giardino, la gente che vive in questo paesino non ancora bonificato dal turismo affianca sempre bellissime piante ornamentali quali la palma e la buganvillea, alle colture di pomodoro, melanzana, peperone e di “cocuzza longa”, una sorta di tromba di Albenga…calabra.
In questo giardino-orto, da quel poco che si riesce a cogliere dietro la fittezza della siepe di caprifoglio, ci sono lunghe fila di pomodori da salsa, un pergolato completamente ricoperto di foglie di cocuzza di larghezza ragguardevole. Si notano appena, solo per macchia di colore inusitata, delle ortensie viola giganti e, per l’altezza, un melograno foltissimo.
La siepe di caprifoglio costeggia quasi completamente la strada, è alta circa due metri e i suoi getti legnosi sono avvoltolati su loro stessi e intorno a una rete metallica inghiottita ormai da tempo nel ventre del rampicante, le foglie sono verde scuro e i fiori riuniti in pesanti grappoli del caratteristico bianco e crema.
Di giorno, neppure il sole impietoso può domare il rigoglio della pianta che si apre ancora di più ai suoi raggi micidiali emettendo un leggero vapore profumato tutto intorno. Di sera, il canto del caprifoglio arriva ai suoi versi più poetici. La luna, e quando non c’è la luce dei lampioni, illumina la lunga siepe e riesce a coglierne il disegno dei rami ricamandoli sulla strada, allora una trina s’imprime sull’asfalto sconnesso cancellando ogni accenno di incuria e squallore. Anche le carcasse di animali meccanici, puzzolenti di ruggine e carburanti scaduti, ricevono come una benedizione il profumo stordente che i fiori gravidi di sole riescono a gettare fin dall’altra parte della strada.
Un tale spettacolo non poteva lasciarmi indifferente e così mi venne l’idea di chiederne qualche rametto per farne la talea. M’informai presso un vicino su che tipo fosse il proprietario del caprifoglio, ogni giardino ha le sue fate e i suoi orchi, a quale di queste creature avrei dovuto ascriverlo?
Così venni a sapere che sarei dovuta andare a bussare alla porta di Donna Nina detta la Marescialla, una signora taciturna e schiva dedita esclusivamente al lavoro della terra, che da sola portava avanti un intero podere e da sola vendeva i suoi prodotti ai mercati dei paesi vicini. Era stata la moglie di un maresciallo dei carabinieri. Si raccontava, a bassa voce, che all’uomo fosse stato teso un agguato all’uscita della messa domenicale e che, una volta colpito a morte il marito, Donna Nina avesse cercato di portare il pesante corpo inerte del marito da sola verso casa, spingendo con una forza sovrumana chi cercasse di impedirglielo.
Una sera di ritorno dal mare e in prossimità della partenza imminente verso il Nord, mi decisi a entrare nel giardino-orto di Donna Nina.
Il portoncino della casa era presidiato da due giare scrostate e il cortile di terra battuta comprendeva un pergolato di uva americana in quel momento non perfettamente matura, un tavolaccio dove lunghe erbe simili alla catalogna e asparagi selvatici stavano asciugandosi prima di essere messi sott’olio, alti bidoni di plastica nera pieni di acqua piovana, un rosmarino alto quanto un uomo e varie cassette di legno dove crescevano ordinatamente alcune centinaia di piantine di basilico all’ombra del melograno.
Al primo momento nessuno rispose, né alle mie voci né al campanello, dopo un po’ di attesa – ormai avevo trovato il coraggio di arrivare fin lì tanto valeva vedere come sarebbe andata a finire – ecco un’ombra stagliarsi dietro la finestra accanto alla porta, una tendina spostarsi e uno sguardo chiedere.
“Abito nel residence qui sopra, ho visto il suo caprifoglio…”
Uno strattone alla tenda e Donna Nina era davanti a me sulla porta spalancata. Mi scrutava con occhi indagatori, sentivo il suo sguardo pesante scandagliare il mio scarso abbigliamento da spiaggia, la sdraio in una mano e l’ombrellone nell’altra, ragionavo con sollievo che questi potevano essere presi come dei validi indizi di persona non pericolosa. Io invece non riuscivo a vederla, era una sagoma scura incorniciata dal buio dell’androne, capivo solo dal vago brillio degli occhi che si trattava di una donna alta e, a giudicare dall’aria che aveva spostato, anche piuttosto robusta.
“Che volete?” La sua voce era morbida, ma anche leggermente stridula come quelle di tutte le sue conterranee avvezze ai mercati.
Così le spiegai del caprifoglio e le feci i complimenti per le ortensie.
Nel silenzio che seguì osservai un vago ondeggiare della testa e le mani incrociate davanti a un grembiule scuro .
“Vi farò sapere. Buonasera.” Fu la risposta, seguita immediatamente dalla chiusura della porta.
Così me ne tornai a casa, leggermente stordita, come se fossi entrata o uscita da un sogno, nella certezza che mai avrei avuto un caprifoglio tutto per me, legalmente.
Infatti cominciava ad affacciarsi l’idea di prendere un rametto di nascosto una notte, senza troppo pensarci, la pianta era così rigogliosa che neppure se ne sarebbe accorta e così pure la sua stizzosa proprietaria. Qualche giorno dopo agii, con un coltellino pulito e ben affilato individuai due punte tra i chilometrici getti, praticai il taglio proprio sotto un nodo di gemma e ne ricavai due talee di circa venti centimetri. Le portai a casa e, con mia grande costernazione, non attecchirono.
L’anno seguente, qualche giorno dopo il mio arrivo al mare, una voce mi chiamò dalla strada e capii subito che era la Marescialla.
“Passate, quando potete.”
E così mi trovai di nuovo al cospetto di Donna Nina, questa volta la incontrai nel suo cortile intenta a lavorare le olive “ammaccate” – peperoncino, finocchio, olio extravergine – con i guanti da cucina immersi dentro due grandi conche di plastica, mi salutò con un cenno, andò sul retro della casa e tornò con un fascio di ortensie e alcuni rametti di caprifoglio avvolti in carta di giornale e me li consegnò.
“Andate e pregate per l’anima dei morti.” La marescialla aveva già ripreso a lavorare le olive, le sue braccia muscolose e abbronzate, ma non prive di femminilità, muovevano l’enorme quantità di olive, la sua schiena era eretta sotto l’abito nero.
Misi subito in acqua le talee e presto, molto prima che la vacanza finisse, buttarono le radichette bianche, che in poco tempo riempirono il bicchiere dove le avevo ricoverate, e finalmente potei metterle in adeguati vasi con la terra e la sabbia.
Solo uno di questi virgulti è sopravissuto, l’ho messo a dimora in un punto del giardino vicino alla casa in modo che, una volta cresciuto, potesse arrivare alle finestre del piano superiore. La piantina, alta circa trenta centimetri al momento del trapianto all’inizio di una calda primavera di tre anni fa, in una sola estate è diventata quasi due metri, in due anni è arrivata alle finestre a circa quattro metri di altezza, allargandosi anche verso i due lati della facciata, ho dovuto farle fare appositamente dal fabbro una struttura a cupola perché i suoi getti piovono da ogni parte e si aggrappano a tutto. Per tutta l’estate, il profumo dei suoi fiori riempie la casa e la strada, colma di gioia anche chi vi passa vicino, proprio come accade al suo ascendente in Calabria. Senza che me ne rendessi conto, purtroppo, la pianta non solo si è sviluppata verso l’alto ma anche dentro la terra stessa, decine e decine di sue propaggini hanno camminato fino a raggiungere una parte del giardino intorno, hanno inghiottito tutti i mughetti in zona e anche un piccolo roseto lì vicino, tanto da soffocarne alcuni esemplari.
La caparbietà, e un’energia inesauribile, sono l’eredità che il sole del Sud e la Marescialla hanno impresso a questo caprifoglio.
Ilaria Beretta