La mia casa si trova al fondo della frazione di una frazione di un piccolo comune in mezzo ai vigneti e ai boschi. Ho acquistato insieme alla costruzione principale un rustico che un tempo fu legnaia, fienile, stalla e pollaio.
Questo rudere di almeno 300 anni si trova a essere l’ultima costruzione dell’uomo, ma non abitata dall’uomo, prima delle terre. Dopo i vigneti ci sono i boschi, castagni soprattutto, e dal loro folto, pieno di rumori sconosciuti e silenzi inquietanti, provengono ogni sorta di animali, cinghiali, ricci, faine, orbettini, volpi che ogni tanto, facendo un salto in “città”, fanno tappa al rustico.
Anche i gatti selvaggi spesso si rifugiano dentro le pietre sbrecciate dell’antica costruzione, per ripararsi dal maltempo o nascondersi da un pericolo; a volte – le femmine – per partorire.
È così che ho conosciuto la gloriosa Guantinibianchi (manto tigrato chiaro con zampe anteriori candide), una gatta selvatica di eccezionale eleganza, impossibile da avvicinare, con un senso della natura e della maternità veramente fuori dal comune. Quando portavo in cortile il cibo per lei e la nidiata, Guantinibianchi, pur visibilmente affamata (allattava cinque piccole belve), lasciava sempre che i piccoli mangiassero per primi, coricata a debita distanza da loro e da me, poi, quando l’ultimo della prole era stramazzato un po’ più in là per il peso della panza a fare il chilo, solo allora lei si avvicinava e mangiava fino a pulire tutti i piatti, cosicché avevo imparato a tenere una parte di cibo solo per lei, da darle dopo che la furia dei piccoli si era placata. Poi, Guantinibianchi era un’insegnante e un’istitutrice di grande valore: ai suoi gattini che si avventuravano vicino a un pozzo pericoloso o troppo lontano dalla sua vista, suonava delle zampate indimenticabili (almeno, io se fossi stato uno dei suoi figli non me le sarei dimenticate), ma era capace di stare con pazienza delle ore a spiegare loro con l’aiuto di pezzi di straccio e cadaveri assortiti come sarebbe stato necessario cacciare le prede, una volta adulti.
Guantinibianchi era la compagna fissa, o preferita, di Guantonibianchi (manto tigrato scuro con zampone anteriori candide), un gattaccio veramente pauroso, enorme, sguardo da duro, che aveva una vera passione per lei e i suoi (loro!) cuccioli.
Sia Guantini che Guantoni a un certo punto non sono più tornati al mio rustico, mi hanno lasciato in eredità i figlioli, selvaggi e casinisti. Dei cinque, quattro se ne sono andati e non sono più tornati, mi è rimasta Giulietta.
Per non perdere anche Giulietta ho cominciato un lavoro di avvicinamento. Chi ha dei gatti e soprattutto delle gatte, saprà che spesso e volentieri il percorso di fiducia tra uomo e animale è molto lungo e costellato di trappole. Se poi si tratta di gatti selvatici provenienti dal più profondo del bosco, la strada è accidentata, anzi si potrebbe dire che non c’è n’è, di strada, ma solo un saltare di sasso in sasso credendo, a un certo punto, di aver stabilito qualcosa tra te e quel preciso animale. Per poi scoprire che, in presenza della più piccola alterazione, l’”addomesticato” non ti riconosce e fugge o ti sfrangia, sgretolando in un amen ciò che credevi di aver costruito.
La confidenza tra uomo e animale si costruisce, come càpita tra umani, sulle cose che si condividono, il cibo sembrerebbe la strada più sicura e più facile, ma Giulietta non è una mangiona, spizzica senza troppa passione. Dopo averci studiato sopra a lungo mi sembrava impossibile avere un avvicinamento con lei, e invece…
A primavera inoltrata ho messo a dimora nell’orto le piantine di cetriolo, zucchina, melanzana, peperone, tromba di Albenga, pomodoro. Ho messo in fila a circa 30 centimetri, le une dalle altre, le piantine di melanzana e peperone, a circa un metro di distanza tra loro le zucchine, a un metro di distanza pure le trombe di Albenga, 50 centimetri per i pomodori.
In una mattina in cui stavo completando gli ultimi filari, vedo arrivare Giulietta. Non avanzava strisciando come al solito ma, per nulla intimorita, si mostrava molto interessata al mio lavoro. Stavo giusto usando la vanga, poi ho dovuto prendere la zappa e, mi sono detta, Giulietta adesso scapperà perchè vedrà librarsi nell’aria un oggetto sconosciuto potenzialmente pericoloso. A malincuore ho preso le misure e ho alzato la zappa, il mio sguardo era più puntato verso Giulietta che sulla zolla da lavorare. A pochi passi da me, la gattina, chiamata anche “La Fuggitiva”, non ha battuto ciglio, si è limitata a socchiudere un momento i begli occhi verdi nel momento in cui l’ampia lama è affondata nel terreno, poi ha ripreso l’attenta osservazione del mio operato. Insomma non mi ha lasciata un momento e quando ho lavorato il resto delle zolle, lei, con un fare da niente, si è spostata e mi è venuta appresso, a debita distanza, ma per la nostra conoscenza, mi è sembrata di averla molto molto vicina.
A mattina inoltrata avevo il bel quadrato di terra mossa e profumata, ben lavorata e organizzata, con mio continuo stupore ero stata sempre in compagnia di Giulietta, ho rimirato il risultato nell’insieme, le foglie verde scuro delle zucchina e della tromba di Albenga, le foglioline di un verde tenerissimo, quasi fluorescente, del peperone e le piantine screziate viola della melanzane, un bel colpo d’occhio il “battaglione-approvigionamento” dei prossimi mesi.
Dal canto suo, Giulietta, sempre insieme a me, non sembrava condividere questa soddisfazione, si aggirava irrequieta per le piantine, la sua delicatezza ancora una volta mi colpiva, passava, ma non spostava un briciolo di terra, questa gattina è soave come una farfalla…Un momento, ma che cosa fa?!
La soave Giulietta si era messa a scavare vicino a una piantina di melanzana alla velocità e con la potenza di un caterpillar, ma che le è preso?! Vuoi dire che l’odore ancestrale di stallatico insieme alla friabilità della terra le hanno fatto venire voglia del bisognino?! Proprio sulle new entry!?
Non potevo permetterlo, quindi mi sono avvicinata a Giulietta e le ho fatto capire che per quel tipo di impiego c’è tanta terra lì intorno, basta spostarsi poco più in là, oltre il recinto.
Davanti al mio disappunto gesticolante, la gattina si è immobilizzata, ma appena sono stata intenta a ripiegare lo sfilaccio di una rete, vedo con la coda dell’occhio che, con la consueta sinuosità, Giulietta si muove e comincia a scavare da un’altra parte, vicino a un peperone. Eh no, proprio queste delicatissime pianticelle, non possono rischiare l’acido benvenuto di Giulietta.
Giulietta, vai fuori! E la caccio via in malo modo col braccio alzato e la voce ringhiosa. Punto e basta.
Il giorno dopo, la ricognizione dell’orto rileva varie buche vicino alle piante di melanzana, penso subito a Giulietta, che disgraziata, comincio a pensare che sia preferibile la sua versione selvatica che non quella aficionada dell’orto, sarà passata dalla porticina non perfettamente chiusa. Mi avvicino in gramaglie, vorrei asportare almeno il concime indesiderato, invece mi accorgo dall’odore e dalla consistenza della terra che non è stato fatto alcun danno apparente, la terra è stata rimossa ma non c’è traccia di…lettiera felina, rimetto a posto le zolle con le mani, senza guanti, sento la terra soffice che mi porta via dalle dita il sonno e il nervosismo. Quando arriva Giulietta, si avvicina come non ha mai fatto, mi sfiora addirittura, passandomi tra gli stivali di gomma, mi supera, lasciandomi di stucco e… dove va? A continuare il suo lavoro di scavo vicino alle trombe di Albenga! E con quale impeto, quale energia!
La osservo, rasssegnata, almeno per capirci qualcosa. Giulietta scava alcune buche, più o meno grandi quanto lei, non rimuove le pianticelle si limita a lavorarci accanto. Non so più cosa pensare. Invece il mio vicino di orto, curioso come una scimmia scienziato, ha già buttato lo sguardo oltre il muretto e oltre gli ostacoli (inutili) che via via io gli metto perchè si faccia gli affari suoi, lui, sa già cosa pensare: “Bella idea quella di fare le fosse vicino alle piante, riesci a dare più acqua, non le schizzi rovinandone le foglie, così si mantiene anche il terreno più umido. Qui non usiamo fare così, ma è una buona cosa lo stesso. Ma chi te l’ha insegnato? Sarà perchè vieni dal mare? Dalla spiaggia? La sabbia? Perchè vieni da Genova!?”
A così tante domande, a raffica e leggermente surreali, non so proprio cosa rispondere e sbandiero il solito sorriso fisso.
Ho lasciato le fosse di Giulietta, le ho leggermente allargate ed effettivamente lo scavo fatto vicino al fusto delle piante ha varie utili funzioni: quella di trattenere più acqua possibile per le radici, quella di farti capire, in caso ti fossi un po’ addormentato con la canna dell’acqua in mano (come capita spesso al mattino presto), quanta acqua hai appena dato alle tue piante e a quali. La fossa serve anche da pronto alveolo per un’eventuale concimazione a metà stagione e ad avere già metà del lavoro fatto se si rende necessario ossigenare le zolle .
Giulietta, quando sono nell’orto non mi molla mai, sembra un cane tanto è fedele alle nostre mattine.
Giulietta, ora che gli ortaggi sono diventati alti e l’estate caldissima, ama abbandonarsi a profondi sonni nell’umido delle fossette da lei stessa scavate, all’ombra, godendo un po’ di fresco quotidiano.
GIULIETTA, LA GATTA ORTOLANA
Ilaria Beretta