Stampa Alternativa ha pubblicato un piccolo libro di Fritjof Capra, Ecoalfabeto. L’orto dei bambini, che contiene, oltre a una breve intervista all’autore, i testi di due conferenze tenuta una – “Un orto in ogni scuola: coltivare un senso della stagione e del luogo” – nel 1997 alla Martin Luther King School, sede dello Edible Schoolyard (cortile commestibile) di Berkeley; l’altra nel 1999 a Liverpool, per la Conferenza Schumacher.
Capra è lo scienziato autore di Il tao della fisica, La rete della vita e La scienza della vita, opere di alta divulgazione scritte nella convinzione che la sopravvivenza della nostra specie si giochi sull’educazione ecologica. E che la coltivazione di un orto scolastico sia pertanto un’attività adatta a sviluppare la consapevolezza delle connessioni, complesse e delicate a un tempo, della rete della vita, ovvero dei principi di base dell’ecologia e del pensiero sistemico.
Per Capra l’orto è, come scrive Simonetta Franceschetti nell’introduzione, il luogo ideale per riportare “i massimi sistemi di nuovo qui, pragmaticamente e con gusto, sulla terra”. Infatti in un orto, coltivando la terra, cercando di ottenerne di che nutrirci, siamo posti di fronte alla nostra realtà più profonda di esseri vulnerabili, che dipendono dall’ambiente (e dalla sua salute!) per la loro stessa sopravvivenza.
In questa ottica, la scienza ha sviluppato negli ultimi trent’anni una nuova idea della vita, vista come una rete, una ragnatela di relazioni tra tutte le componenti di un organismo in cui le sostanze nutritive si diffondono tramite cicli.
Cicli che possono essere visti, toccati con mano, proprio attraverso la coltivazione di un orto; qui i bambini arrivano a comprendere, ma soprattutto a vivere, i fenomeni legati alla rete della vita, al flusso dell’energia e ai cicli della natura: comprensione quanto più necessaria nel mondo industriale, perché mentre la natura è ciclica, i sistemi industriali sono lineari.
E allora? Allora questo: un sistema lineare genera l’ossessione per una crescita economica illimitata, al di là di qualsiasi ragionevolezza, ben oltre i bisogni dell’uomo. In un sistema lineare, si induce la coazione ad aggiungere sempre nuove unità, si forma il pregiudizio che tutte le cose debbano crescere sia simultaneamente che all’infinito.
All’interno di un sistema ciclico, invece, si comprende (e si accetta!) che ogni cosa ha la sua stagione, che mentre alcune crescono, altre devono di necessità decrescere: il pianeta è limitato, non tutto può crescervi simultaneamente.
Un sistema lineare, come quello industriale primitivo, genera rifiuti, un sistema ciclico reintegra ogni cosa all’interno del flusso energetico, senza mai lasciarsi dietro rifiuti inutilizzati.
Ecco perché è importante l’esperienza precoce di coltivare un orto: per interiorizzare una comprensione dei flussi della vita in cui viene spontaneo riutilizzare ogni cosa (le foglie cadute, le deiezioni animali, gli scarti alimentari per preparare nuovo concime) e di fronte ai rifiuti si prova, anziché assuefazione, stupore: perché in una comunità ecologica i rifiuti in quanto tali sono semplicemente inconcepibili, non possono esserci in quanto gli scarti di una specie costituiscono l’alimento di un’altra.
(Come mi piacerebbe che anche i nostri corpi morti, anziché sigillati in bare di zinco, venissero reintegrati nel ciclo della vita, come avviene nella sepoltura di rito Farsi affidata a provvidi avvoltoi sarcofagi!).
“L’uomo non ha tessuto la trama della vita; in essa è solamente un filo. Qualsiasi cosa egli faccia alla trama, la fa a se stesso”, affermò il capo indiano Seattle (1790-1866) qui citato.
“Questa antica sapienza può essere vissuta e compresa direttamente attraverso la coltivazione di un orto”, scrive Capra; “il miglior posto per la formazione ecologica è l’orto scolastico”. Lì si apprenderà per esperienza diretta che la terra fertile non è materia inerte, ma un organismo vivo che contiene a sua volta miliardi di organismi viventi; che questi organismi viventi elaborano i cosiddetti rifiuti trasformandoli in sostanze nutritive per le piante e quindi, di riflesso, per noi; nell’orto si vede come qualcosa di piccolissimo, un seme, contiene tutto il necessario a svilupparsi in una pianta capace a sua volta di produrre altri semi; nell’orto, ambiente ricco di stimoli sensoriali, le funzioni cognitive ed emotive si sviluppano al meglio, preparando individui capaci di contribuire a un futuro sostenibile.
Sostenibilità: un termine spesso frainteso. Scrive Capra: “Ciò che viene sostenuto in una comunità sostenibile non è la crescita economica, lo sviluppo, la quota di mercato o la superiorità competitiva, ma l’intera rete della vita da cui dipende la nostra sopravvivenza a lungo termine. In altre parole, una comunità sostenibile è progettata in modo tale che le sue modalità di vita, commercio, economia, le sue strutture fisiche e le sue tecnologie non interferiscano con la capacità innata della natura di sostenere la vita”.
Sarà considerata ecologica quell’educazione che permette di comprendere i principi organizzativi sviluppati dagli ecosistemi per reggere la rete della vita. E anche di capire le relazioni: “ci è stato insegnato che nella scienza le cose vengono pesate e misurate. Eppure le relazioni non possono essere pesate e misurate; delle relazioni occorre fare una mappa.”
Nella speranza che cessasse un giorno di essere vero quanto ha constatato Paul Hawken in The ecology of commerce (“possiamo identificare un migliaio di logo aziendali, ma meno di dieci piante del luogo dove viviamo”) Capra ha creato a Berkeley, in California, un “Center for Ecoliteracy” che dirige insieme a Zenobia Barlows.
L’idea gli venne negli anni ’90 quando alcuni funzionari dell’Oregon gli chiesero aiuto nella redazione di “un programma di studi impostato ecologicamente per una scuola superiore”, programma poi sviluppato in una pedagogia denominata “istruzione per vivere in modo sostenibile”. Le reazioni di bambini e ragazzi, racconta Capra, sono state interessantissime. Poiché progettavano e coltivavano di persona l’orto, i ragazzi se ne occupavano con grande sollecitudine: era entusiasmante per loro mangiare verdure che avevano coltivato con le loro mani, di cui avevano seguito la crescita da seme a frutto. Un beneficio collaterale dell’orto era inoltre l’aumento del livello di collaborazione all’interno della comunità, una diminuzione del tasso di violenza e criminalità. Erano i risultati di una pedagogia impostata sul concetto di come fare a nutrire una comunità, il cui scopo di era “creare un ambiente in cui gli studenti sviluppano un rapporto emotivo con la natura”, nella speranza che questo porti a un senso di responsabilità verso la terra, e che questo senso di responsabilità resti poi anche da adulti.
L’orto, dunque, come punto di partenza della comprensione del proprio posto nel mondo. Non solo per quanto permette di comprendere della realtà della vita, ma anche perché il suo dono più grande non sono tanto gli ortaggi, ma il senso di pienezza che si prova a contatto con la terra. È una felicità di gusto particolare, in cui è possibile rinvenire il seme di una libertà interiore capace di emancipare dal bisogno coatto.
Scrive Capra: “Creare delle esperienze gioiose per i bambini è una caratteristica importante della nostra pedagogia; confidiamo che farlo quando gli studenti sono in giovane età permetterà loro di affrontare meglio i problemi ambientali nel mondo quando saranno più grandi”. Ecco quanto afferma un’insegnante citata da Capra: “una delle cose più entusiasmanti dell’orto è che creiamo un luogo magico per l’infanzia dei bambini, che altrimenti non avrebbero un posto del genere e non sarebbero in contatto con la Terra e con tutte le cose che vi crescono. Si può insegnare tutto quello che si vuole, ma esserci per davvero, coltivando e cucinando e mangiando, è un’ecologia che tocca il loro cuore, e che gliela rende importante.”
Per Capra l’orto è, come scrive Simonetta Franceschetti nell’introduzione, il luogo ideale per riportare “i massimi sistemi di nuovo qui, pragmaticamente e con gusto, sulla terra”. Infatti in un orto, coltivando la terra, cercando di ottenerne di che nutrirci, siamo posti di fronte alla nostra realtà più profonda di esseri vulnerabili, che dipendono dall’ambiente (e dalla sua salute!) per la loro stessa sopravvivenza.
In questa ottica, la scienza ha sviluppato negli ultimi trent’anni una nuova idea della vita, vista come una rete, una ragnatela di relazioni tra tutte le componenti di un organismo in cui le sostanze nutritive si diffondono tramite cicli.
Cicli che possono essere visti, toccati con mano, proprio attraverso la coltivazione di un orto; qui i bambini arrivano a comprendere, ma soprattutto a vivere, i fenomeni legati alla rete della vita, al flusso dell’energia e ai cicli della natura: comprensione quanto più necessaria nel mondo industriale, perché mentre la natura è ciclica, i sistemi industriali sono lineari.
E allora? Allora questo: un sistema lineare genera l’ossessione per una crescita economica illimitata, al di là di qualsiasi ragionevolezza, ben oltre i bisogni dell’uomo. In un sistema lineare, si induce la coazione ad aggiungere sempre nuove unità, si forma il pregiudizio che tutte le cose debbano crescere sia simultaneamente che all’infinito.
All’interno di un sistema ciclico, invece, si comprende (e si accetta!) che ogni cosa ha la sua stagione, che mentre alcune crescono, altre devono di necessità decrescere: il pianeta è limitato, non tutto può crescervi simultaneamente.
Un sistema lineare, come quello industriale primitivo, genera rifiuti, un sistema ciclico reintegra ogni cosa all’interno del flusso energetico, senza mai lasciarsi dietro rifiuti inutilizzati.
Ecco perché è importante l’esperienza precoce di coltivare un orto: per interiorizzare una comprensione dei flussi della vita in cui viene spontaneo riutilizzare ogni cosa (le foglie cadute, le deiezioni animali, gli scarti alimentari per preparare nuovo concime) e di fronte ai rifiuti si prova, anziché assuefazione, stupore: perché in una comunità ecologica i rifiuti in quanto tali sono semplicemente inconcepibili, non possono esserci in quanto gli scarti di una specie costituiscono l’alimento di un’altra.
(Come mi piacerebbe che anche i nostri corpi morti, anziché sigillati in bare di zinco, venissero reintegrati nel ciclo della vita, come avviene nella sepoltura di rito Farsi affidata a provvidi avvoltoi sarcofagi!).
“L’uomo non ha tessuto la trama della vita; in essa è solamente un filo. Qualsiasi cosa egli faccia alla trama, la fa a se stesso”, affermò il capo indiano Seattle (1790-1866) qui citato.
“Questa antica sapienza può essere vissuta e compresa direttamente attraverso la coltivazione di un orto”, scrive Capra; “il miglior posto per la formazione ecologica è l’orto scolastico”. Lì si apprenderà per esperienza diretta che la terra fertile non è materia inerte, ma un organismo vivo che contiene a sua volta miliardi di organismi viventi; che questi organismi viventi elaborano i cosiddetti rifiuti trasformandoli in sostanze nutritive per le piante e quindi, di riflesso, per noi; nell’orto si vede come qualcosa di piccolissimo, un seme, contiene tutto il necessario a svilupparsi in una pianta capace a sua volta di produrre altri semi; nell’orto, ambiente ricco di stimoli sensoriali, le funzioni cognitive ed emotive si sviluppano al meglio, preparando individui capaci di contribuire a un futuro sostenibile.
Sostenibilità: un termine spesso frainteso. Scrive Capra: “Ciò che viene sostenuto in una comunità sostenibile non è la crescita economica, lo sviluppo, la quota di mercato o la superiorità competitiva, ma l’intera rete della vita da cui dipende la nostra sopravvivenza a lungo termine. In altre parole, una comunità sostenibile è progettata in modo tale che le sue modalità di vita, commercio, economia, le sue strutture fisiche e le sue tecnologie non interferiscano con la capacità innata della natura di sostenere la vita”.
Sarà considerata ecologica quell’educazione che permette di comprendere i principi organizzativi sviluppati dagli ecosistemi per reggere la rete della vita. E anche di capire le relazioni: “ci è stato insegnato che nella scienza le cose vengono pesate e misurate. Eppure le relazioni non possono essere pesate e misurate; delle relazioni occorre fare una mappa.”
Nella speranza che cessasse un giorno di essere vero quanto ha constatato Paul Hawken in The ecology of commerce (“possiamo identificare un migliaio di logo aziendali, ma meno di dieci piante del luogo dove viviamo”) Capra ha creato a Berkeley, in California, un “Center for Ecoliteracy” che dirige insieme a Zenobia Barlows.
L’idea gli venne negli anni ’90 quando alcuni funzionari dell’Oregon gli chiesero aiuto nella redazione di “un programma di studi impostato ecologicamente per una scuola superiore”, programma poi sviluppato in una pedagogia denominata “istruzione per vivere in modo sostenibile”. Le reazioni di bambini e ragazzi, racconta Capra, sono state interessantissime. Poiché progettavano e coltivavano di persona l’orto, i ragazzi se ne occupavano con grande sollecitudine: era entusiasmante per loro mangiare verdure che avevano coltivato con le loro mani, di cui avevano seguito la crescita da seme a frutto. Un beneficio collaterale dell’orto era inoltre l’aumento del livello di collaborazione all’interno della comunità, una diminuzione del tasso di violenza e criminalità. Erano i risultati di una pedagogia impostata sul concetto di come fare a nutrire una comunità, il cui scopo di era “creare un ambiente in cui gli studenti sviluppano un rapporto emotivo con la natura”, nella speranza che questo porti a un senso di responsabilità verso la terra, e che questo senso di responsabilità resti poi anche da adulti.
L’orto, dunque, come punto di partenza della comprensione del proprio posto nel mondo. Non solo per quanto permette di comprendere della realtà della vita, ma anche perché il suo dono più grande non sono tanto gli ortaggi, ma il senso di pienezza che si prova a contatto con la terra. È una felicità di gusto particolare, in cui è possibile rinvenire il seme di una libertà interiore capace di emancipare dal bisogno coatto.
Scrive Capra: “Creare delle esperienze gioiose per i bambini è una caratteristica importante della nostra pedagogia; confidiamo che farlo quando gli studenti sono in giovane età permetterà loro di affrontare meglio i problemi ambientali nel mondo quando saranno più grandi”. Ecco quanto afferma un’insegnante citata da Capra: “una delle cose più entusiasmanti dell’orto è che creiamo un luogo magico per l’infanzia dei bambini, che altrimenti non avrebbero un posto del genere e non sarebbero in contatto con la Terra e con tutte le cose che vi crescono. Si può insegnare tutto quello che si vuole, ma esserci per davvero, coltivando e cucinando e mangiando, è un’ecologia che tocca il loro cuore, e che gliela rende importante.”
Pia Pera