Sull’orto didattico della mia scuola, come su tutti gli orti e giardini della valle, precipitò come una furia una vera e propria bomba d’acqua e grandine. In nemmeno mezzora, quel mattino di luglio distrusse, azzerò tutta la fatica, gli sforzi che ci vogliono per realizzare un orto. Ne scrissi ed inviai l’articolo a Pia Pera che dirigeva il blog “www.ortidipace.org”, tutta la delusione, lo sconforto,
lo scoramento provato si esprimevano in quel racconto. Pia Pera volle intitolarlo “Dell’orto ovvero dell’impermanenza”. Aveva ragione. Sono passati molti anni da allora e meno male, solamente un’altra grandinata più o meno analoga a quella, rovinosa. Si, l’impermanenza è una grande lezione da tenere a mente per chi decida di mettersi a coltivare. Per fare un orto, un orto o un giardino, per coltivare la terra coltivando anche se stessi, un’idea di bellezza, qualcosa che significhi molto non solo in termini di autoproduzione, e gli orti belli in ogni caso non producono meno degli altri, anzi, ci vogliono le “Tre Effe”. Fantasia, fatica e fortuna”. La fantasia sta nel desiderio e nella sapienza, nella capacità di immaginare un proprio personale disegno di orto che già nelle forme faccia sognare, che incanti. La fantasia sta nel ricercare ortaggi, erbe, fiori, piccoli frutti non necessariamente inconsueti ma certamente non commerciali, appartenenti alla tradizione rurale antica del luogo e, se innovativi, suscettibili di ambientarvisi come se ci fossero sempre stati.
La fatica è il lavoro che comincia sin dalla scelta del suolo, dal volerlo e doverlo migliorare in maniera naturale e quella migliore è saper riportare alla terra ciò che la terra ci dà. Ovvero bisogna imparare a fare un buon composto. La fatica è nel migliorare costantemente il suolo, nel lavorarlo senza stravolgerlo, se è non è vero che “l’orto vuole l’uomo morto” e che, in fondo, se si imparano i movimenti giusti, si tratta di una ginnastica utile oltre che corroborante. Eppure il sudore e la monotonia, il dover ripetere, magari raffinandoli, provando a migliorare, i gesti che ogni orticultore deve conoscere, seminare, sarchiare, diserbare a mano, travasare, ripicchettare, sono fatica.
La terza Effe è la fortuna perché non siamo noi a decidere l’andamento delle stagioni e piogge eccessive o la mancanza assoluta di esse possono compromettere la stagione. Certo, noi dobbiamo provvederci contro il possibile. Una o più cisterne da mille litri collegate alle grondaie ci assicurano contro un periodo secco, il telo antigrandine, assicurare bene le piante ai tutori, mantenere una scorta di semi buoni per l’anno successivo, riparare le piante più preziose sotto un poggetto o un pergolato, sono altrettanti mezzi che dobbiamo porre in essere contro la sfortuna.
Eppure, l’imprevisto è sempre in agguato. Una bomba d’acqua o grandine rovinosa o peggio ancora che un piano speculativo voglia proprio cancellarci il fazzoletto di terra che amiamo, tutto questo fa parte della vita. Ricordando Pia Pera, è l’impermanenza, ciò che seminiamo lo vediamo crescere e fiorire, ma come ogni fiore per assicurarci i semi deve necessariamente appassire e trasformarsi,
noi che coltiviamo con amore lo sappiamo. L’orto è una grande lezione di vita proprio perché noi dobbiamo impegnarci al massimo ed anche oltre, immaginare tutto ciò che può farlo crescere ed irrobustire e una rete come quella degli Orti di Pace immaginata da Pia Pera è certamente uno dei modi. Si scrivono libri sui “Diritti delle piante”, si parla della loro sensibilità, sempre più spesso si valorizza questo mondo verde e la definizione “vegetale” riferita a chi non fa nulla della propria vita, perde di senso perché le piante fanno eccome se fanno. Ma anch’esse, proprio perché esseri viventi sono soggetti alle leggi dell’imperscrutabile che Pia chiamava “impermanenza”.
Teodoro Margarita