Orti condivisi e terapeutici

COSA C’È DI NUOVO‍ – NOTIZIE DA CASCINA BOLLATE

[Il dilemma] Il tema dell’edizione del 2004 del Festival internazionale del giardino a Chaumont-sur-Loire era Vive le chaos! Ordre et désordre au jardin. 20 anni dopo, ci risiamo. Radice pura – International festival of Garden Design ha lanciato una call per l’edizione del 2025 sullo stesso tema: Chaos (and) order in the garden. Ordine o caos: questo è il dilemma. Due decenni passati invano? Forse no, molte cose sono cambiate: la più importante probabilmente è la percezione del giardino come risorsa irrinunciabile in epoca di cambiamento climatico conclamato (facendo finta di niente sulla questione spinosa del consumo di suolo…). Agli inizi del XXI secolo Gilles Clément era considerato un pioniere, il giardiniere planetario un lattante e il terzo paesaggio ancora di là da venire. Solo pochi pensavano che il prato all’inglese fosse soprattutto un’idrovora; round up e pesticidi andavano per la maggiore senza troppe resipiscenze. Oggi anche la Bayer cerca di ritrovare una verginità e marketing e pubblicità si danno da fare per lavare prodotti e coscienze come se non ci fosse un domani. Che forse non c’è davvero, visto l’abisso tra parole e fatti che separa l’accordo di Parigi di COP21 e i compromessi di COP28 a Dubai. Green washing, ora e sempre. E quindi elogio del giardino naturale, apoteosi delle erbacce, delle siepi naturalistiche e dell’erba alta. La natura cerca di riprendere i propri diritti e l’uomo un po’ l’asseconda, un po’ la imita e spesso tenta di controllarla ricorrendo al pugno di ferro in guanto di velluto. E’ (circa) quello che succede quando tornate dalle vacanze e in giardino sono cresciuti milioni di convolvoli (Convolvulus arvensis). Meravigliosi. Avete due strade davanti a voi: il giorno dopo strappate tutto perché si sono superati i limiti oppure lasciate libero il vilucchio e mettete una croce sopra alla vostra aiuola. È il giardinaggio della rinuncia: in ogni caso ci vuole coraggio. Caos e marginalità in giardino saranno pure politicamente corretti, eticamente condivisibili, ambientalmente indispensabili, ma non sempre si conciliano con l’idea che l’uomo ha da secoli del giardino. Del resto non sono solo l’evoluzione del romice da deliziosa foglietta a invadente erbacciona, l’onnipresenza della parietaria e la prepotenza del pabio a trasformare il giardiniere in castigamatti. Anche una rosa che si allarga e invade spazi altrui e le innumerevoli piante che con determinazione e fantasia inesauribile si autodisseminano e si propagano ovunque mettono a dura prova il principio di accoglienza. Quindi? Il giardino naturale di cui parliamo che cosa è nella nostra pratica di giardinieri? A occhio, forse potrebbe essere un giardino della convivenza e della mediazione tra specie spontanee e coltivate. E, per renderlo possibile, si dovrebbero sperimentare altre modalità di progettazione e soprattutto una manutenzione consapevole, nata dall’osservazione e finalizzata alla convivenza amichevole. In città, nei piccoli giardini, sui terrazzi, sui balconi e non obbligatoriamente e solo nei grandi progetti mediaticamente sensibili, nei concorsi internazionali di idee etc etc. Che vanno bene, sono il sale della vita ma dovrebbero essere anche esportabili, almeno in parte, nel piccolo mondo verde delle casalinghe di Voghera.

Chaumont, 20 anni fa, non c’è riuscito mica tanto, chissà se Radice pura invece sì.

Nella foto, il giardino didattico di Cascina Bollate nel mese di maggio

‍[Benvenuta, popillia…] In vivaio (e in buona parte d’Italia e forse anche d’Europa) ci piacerebbe fosse vietato l’ingresso alla Popillia japonica, un coleottero giapponese belloccio d’aspetto ma gran divoratore di (quasi) tutti i vegetali: dalla vite in poi, passando per la rosa, le Rosaceae e moltissime altre specie fino ad arrivare ai prati, dove predilige deporre le uova. Noi abbiamo avvolto – come un’odalisca – i tunnel in una rete e talvolta, chiusi dentro, guardiamo come va il mondo, là fuori. Insomma, un carcere nel carcere. Abbastanza orrendo anche solo a pensarci. Per fortuna sua, chi legge questa newsletter non coltiva piante per produrre occupazione e reddito e quindi può avere un atteggiamento più laico nei confronti delle pesti del giardino, dalla Popillia in poi. Nel caso volesse combatterla, il mercato da un po’ di anni è andato a nozze con insetticidi ad hoc (??), rimedi per la lotta biologica e quella meccanica. Si può scegliere tra prodotti e metodi molto diversi tra loro, a seconda delle proprie inclinazioni. Dai fautori di un giardino naturale costi quel che costi, insensibili alle foglie completamente sbocconcellate, tranne che per le nervature, tanto da diventare simili a un pizzo di Bruges. A chi è infoiato in una lotta senza quartiere, al grido No pasaràn! In ogni caso, meglio sapere fin da subito che Popillia ha una grande capacità di spostamento e quindi il vostro piccolo paradiso difficilmente resterà a lungo fuori dai suoi voli di ricognizione in cerca di cibo. Può consolare conoscerne il ciclo vitale: con i primi caldi maschi e femmine cominciano a svolazzare, si accoppiano e depositano le uova preferibilmente nei prati. Da 1 a 3 uova fino a 16 volte nella stagione, dicono i sacri testi. Dalle uova escono delle larve che si nutrono delle radicolette che trovano intorno: ne fanno le spese prati e piante erbacee. Poi tutte ferme e tutte zitte sotto terra (da 5 a 15 cm) fino a primavera. E’ questo il momento di agire con funghi entomopatogeni e nematodi entomoparassiti: parole grosse, lo sappiamo. Ma (sempre l’onnipresente mercato) le traduce per voi con nomi di prodotti commerciali e istruzioni per l’uso.

Nella foto, Verbena bonariensis

[Con il caldo, le piante non viaggiano] Da luglio le spedizioni sono sospese, tranne che per le consegne in Milano città e per il ritiro in vivaio, nel piazzale davanti al carcere, su appuntamento. L’ingresso è di fronte a Cargo 10 di MIND, ex Expo).

Ricominciamo a settembre, quando si dovrebbe intravedere l’inizio dell’autunno, la stagione giusta per il giardinaggio.

Il vivaio dal 3 luglio è aperto solo online.

E’ arrivato il momento dell’anno in cui il vivaio vorrebbe ma non va in vacanza: soltanto si prende un po’ di tregua e chiude al pubblico. Perché la piena estate è la stagione in cui si fa poco altro oltre che bagnare, bagnare, bagnare e cercare l’ombra. A meno che piova e tiri vento: allora si cercano lumache, si riparano i danni delle tempeste tropicali e ci si domanda se si viva in un clima temperato o monsonico.

Buone vacanze anche a voi!

Ci sentiamo a settembre. Grazie di aver letto fino a qui.

“La flora dei residui non è limitata alle associazioni vegetali indigene. Accoglie tutte le flore esotiche pioniere compatibili con l’ambiente (bioma). La somma dei residui rappresenta il territorio per eccellenza della mescolanza planetaria. La crescente antropizzazione porta alla creazione di un numero sempre maggiore di residui e a una progressiva riduzione degli insiemi primari” .

(Gilles Clément ‘Manifesto del Terzo paesaggio’ ed. Quodlibet, 2016)

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Siamo il vivaio nel carcere di Bollate a Milano.

Cascina Bollate è una cooperativa sociale in cui lavorano giardinieri liberi e giardinieri detenuti che imparano un mestiere che dà un senso alla loro pena, finché sono dentro, e una chance al loro futuro, quando usciranno. Perché imparare un lavoro in carcere è un buon modo per non tornarci più.

www.cascinabollate.org