IL GIARDINO TROPICALE DOVE NACQUE LO SCRITTORE
di Ezio Menzione
Che Italo Calvino sia nato all’Avana non vi è dubbio. Non è sicuro, invece, dove esattamente sia nato. Secondo molti, a Villa Begonia. Suo padre, il famoso botanico, lavorava in quegli anni a Cuba, come direttore del Centro Botanico Sperimentale, che si trovava e ancora si trova nel paese di Santiago de la Vega, oggi, in pratica, un sobborgo agricolo della città. La villa è poco lontana.
Nei secoli passati la villa, come tutto il comprensorio, era proprietà di un certo Hidalgo Gato y Bajia. Poi, nel ‘900, assieme al vasto giardino, passò in proprietà ad un certo Fisher, ricco melomane con grande vita mondana, il quale può averla affittata al Prof.Calvino e per questo vi sarebbe nato lo scrittore.
Oggi, facendosi coraggio, vi si entra da un cancello arrugginito e sgangherato su cui sta una vecchia scritta sbiadita: “Vivero Begonia”. Morto il Fisher, infatti, del giardino è stato fatto un vivaio. Non più attivo da vari anni per una lite ereditaria fra le due vedove Fisher, sposate una dopo l’altra, ma ambedue dimoranti gomito a gomito nelle stanze della villa, un po’ ottocentesca, un po’ anni ’20.
Nel giardino, quindi, si rinvengono tracce in pietra di viali, vialetti e aiole, ma la vegetazione ha preso il sopravvento su tutto. Alberi da frutto e piante da fiore si mescolano inestricabilmente, ricordando da un lato il giardino che fu, dall’altro la foresta che sarà, se qualcuno, faticosamente, non ricomincerà a sistemarlo.
In un rumoroso abbaiar di cani, alla fine di un lungo e oscuro viale, mi viene incontro una donna bionda, rotonda, con due dolci occhi azzurri, del tutto incongrui con il lungo machete che brandisce. Ma mi accoglie bene, spiegando di essere la seconda vedova del Fisher, di avere vinto lei la causa ereditaria proprio di recente e che la prima vedova ha sì il diritto di abitare in una parte della villa, ma che la proprietà è tutta sua e spera nel giro di qualche mese di avere il permesso di riattivare il vivaio con l’aiuto dei figli.
Mi indica il giro da fare per visitare l’intero giardino, fino al capanno dove un tempo (non poi troppo remoto, Cuba è stato l’ultimo paese ad abolire la schiavitù a fine ‘800) abitavano gli schiavi.
Mi perdo in quell’intrico in cui radici e rami si confondono, bosco fitto e buio in certi punti, che si apre in piccole radure di piante e fiori sconosciuti o che, pur conosciuti, crescono qui in foreste dai colori incantati, come i croton, che da noi vivacchiano negli interni.
Facendo silenziosamente scricchiolare le foglie di un vialetto, ricompare la signora, sempre con machete alla mano e un paio di cani, e mi porta ad una ceiba (il grande albero del kapok) di 250 anni almeno, secondo lei, ma effettivamente enorme, considerata sacra e beneaugurante e lì comincia tutta una santeria, a mia partecipazione obbligatoria, con 12 giri attorno all’enorme tronco esprimendo 12 desideri diversi (io mi perdo verso il sesto o settimo: sono di desideri limitati e un po’ monotoni) e poi paternostri mano nella mano e poi lasciarsi andare nella cavità del tronco per immergersi nelle sue onde di energia benefica. La ceiba nella cultura afrocubana è sempre stata considerata albero magico e portatore di fecondità: il suo tronco grosso e dritto verso il cielo è in equivoco.
Mi mostra poi alcune piante molto rare e del tutto sconosciute, almeno a me, certo non al Prof.Calvino padre.
Ci lasciamo, con la promessa che quando ci si rivedrà il “vivaio di Calvino” sarà tornato al suo splendore.
Rifacendo il lungo viale d’accesso verso il vecchio cancello posso immaginare con facilità che il Barone Rampante abiti proprio qui e salti frusciando di ramo in ramo sopra di me.
Ezio Menzione