Alcuni anni or sono, in occasione di una manifestazione che si tenne a Velletri, ebbi l’opportunità di fare una relazione intorno ad un argomento che fu all’epoca oggetto di un convegno: il carciofo.
Ve la ripropongo, con gli opportuni adattamenti, perchè ritengo questo vegetale uno dei più interessanti sia perchè può essere coltivato con facilità nei nostri Orti – e vedere un campo di carciofi in piena fruttificazione ha certamente un suo fascino – che naturalmente per il suo notevole interesse sotto il profilo gastronomico.
Quindi, il carciofo: leggendo la sua definizione in un vecchio vocabolario presente nella biblioteca antica dell’Orto Botanico di Lucca, il Vocabolario metodico italiano di Stefano Palme (1870), si trova che … “il carciofo è una pianta che fa una boccia in forma di pina, composta di tante piccole foglie a squame, e buona a mangiarsi cotta in varii modi, ed anche cruda a guisa di frutta nella parte più morbida delle foglie. Coltivata negli orti ha dato origine ad alcune varietà distinte nel colore, la forma, la grossezza della boccia; onde si ha il carciofo verde, generalmente preferito; il carciofo pavonazzo, il carciofo rosso, il carciofo bianco, ecc. Una varietà a boccia globosa è detta mazza ferrata: le foglie di questa non hanno nella cima quella piccola spina che sogliono avere le altre.
Credo che tale definizione, pur se antica, possa essere ancora valida per molte delle varietà di carciofo che tuttora esistono in Italia. Ancora, sullo stesso vocabolario, si legge che “dicesi anche carciofo, per disprezzo a uomo buono a nulla e dappoco”.
Ora, molteplici sono le espressioni figurate riferite all’uomo in cui sono presenti piante o animali, ma certamente questa è una delle metafore meno appropriate. L’aspetto rigoglioso e la folta vegetazione di una pianta di carciofo, ma soprattutto il suo sapore che tutti ben sappiamo eccellente, non so come abbiano potuto dare origine a un paragone così poco somigliante di “uomo buono a nulla o dappoco”. Purtroppo, tale metafora è in voga anche ai nostri tempi, ma proporrei quasi di abolirla, e di togliere dai vocabolari questa nota “dolente” sul carciofo!
Ma veniamo un momento a cose più serie: com’è che è arrivato fra noi questo eccezionale vegetale? Quale noi lo conosciamo, il carciofo non è presente allo stato spontaneo in nessuna parte del mondo; infatti la pianta sembra derivata da una specie abbastanza differente, detta appunto carciofo selvatico (Cynara cardunculus L. subsp. scolymus (L.) Hayek); questa si può rintracciare nel centro-sud Italia e nelle isole, negli incolti e nei pascoli, a volte come erba infestante. Da un breve rizoma nasce una rosetta di foglie profondamente incise, spinose, da cui l’anno seguente sorge un fusto grosso e lanuginoso, alto fino a 30-50 cm, portante numerosi capolini, piriformi, assai spinosi, composti da bellissimi fiori che sono azzurri o violacei.
Il carciofo che noi conosciamo sembra appunto derivato da questa specie spontanea, ma non per selezione naturale; questo magnifico lavoro è opera del lungo ed appassionato lavoro dell’uomo che, con l’acquisizione dell’agricoltura, ha iniziato una storia plurimillenaria di domesticazione delle piante che ha permesso la differenziazione di molteplici varietà e cultivar, ciascuna dalle caratteristiche organolettiche sempre più apprezzabili e perfettamente adattate a crescere in quei particolari siti dove si sono plasmate attraverso lo stretto connubio fra le risorse antropiche e i diversi fattori ambientali ivi presenti. Ne sono un esempio le oltre 90 varietà e cultivar di carciofo presenti in Italia almeno fino a qualche decennio anno fa.
Ma ultimamente un problema, di vastità globale, stà minacciando la conservazione della diversità genetica e il carciofo non è indenne a questa minaccia. Molti di voi già sapranno che questo fenomeno ha assunto sulla Terra dimensioni preoccupanti: sappiamo ormai con certezza che oltre il 20% della flora spontanea è in pericolo di estinzione, e che ogni giorno scompaiono dalla faccia della terra 15-20 specie di piante, molte delle quali magari non ancora ben conosciute e che avrebbero potuto costituire una risorsa sotto diversi aspetti (alimentare, medicinale, ecc.) per il genere umano.
Il numero dei vegetali superiori presenti sulla terra si aggira sulle 250.000 entità: dalla metà dell’800 abbiamo perso quasi 40.000 specie, e il fenomeno non sembra diminuire; negli ultimi tempi sono proprio gli Orti Botanici a fare un grande sforzo per contribuire a controllare il fenomeno. Bene (anzi, male) ma che c’entra tutto questo con il carciofo, che, come abbiamo visto, non è una pianta spontanea?
Come già accennato, l’uomo ha sviluppato nel tempo centinaia di varietà, razze, ecotipi o cultivar che sono state coltivate negli habitat più disparati, fornendo la possibilità di utilizzare vegetali eduli quasi ovunque su tutto il pianeta; questo ha portato certamente ad un dato positivo, in pratica ad un aumento della diversità biologica sulla Terra.
Ma in seguito all’avvento ad una male intesa agricoltura industrializzata, un numero molto elevato di vecchie varietà, razze, ecotipi e cultivar sono scomparse, e il fenomeno continua con dimensioni allarmanti. Alcuni esempi? In Italia, agli inizi del secolo scorso erano presenti 250 cultivar locali di grano; oggi difficilmente si arriva a 20. Negli anni’80, alcuni ricercatori dell’Università di Firenze hanno compiuto uno studio su una serie di nature morte oggi conservate presso il Museo Botanico dell’Università; bene, da queste indagini risulta che nel ‘700 in Toscana esistevano 116 razze fra aranci e limoni, 10 di albicocca, 26 di pesca, 66 di ciliegia, 30 di fico, 53 di mela, 109 di pera, 75 di susina e 75 di uva. Dopo circa un secolo, quindi nella metà dell’800, viene stampato un lavoro, la Pomona toscana, in cui viene data una breve descrizione, come dice il testo, di tutti i frutti che si coltivano sul suolo toscano per servire alla collezione … dei medesimi. In questa interessante opera, le cultivar ricordate sono solo 150: nel volgere di un secolo erano dunque probabilmente scomparse circa 200 razze. Da allora a oggi la situazione si è notevolmente aggravata, com’è facilmente verificabile facendo una visita a qualsiasi mercato ortofrutticolo.
Ma anche nel caso delle specie erbacee, non escluso il carciofo, si è registrata una forte diminuzione della loro diversità. Non a caso in Toscana è stata istituita fino dagli anni ’80 una Banca del Germoplasma Regionale, voluta dalla stessa Regione Toscana e ubicata presso l’Orto Botanico di Lucca, dove sono conservate con il metodo del freddo le numerose varietà, razze, ecotipi e cultivar (quasi un migliaio) che sono state rintracciate sul territorio toscano in seguito a meticolose ricerche effettuate sia presso ditte sementiere locali, ma anche e soprattutto presso anziani agricoltori che – e spesso non a torto – sostenevano che le loro varietà erano migliori di quelle commerciali.
Di esse naturalmente è risultato indispensabile anche conoscerne le caratteristiche del luogo di crescita e le tecniche di coltivazione, anche perché la loro presenza possa continuare a caratterizzare un luogo; a questo proposito è stata istituita anche una rete di “agricoltori custodi” in grado
di riprodurre le sementi presenti nella Banca del Germoplasma nei loro luoghi di origine.
di riprodurre le sementi presenti nella Banca del Germoplasma nei loro luoghi di origine.
Si, a far memoria di un luogo, spesso testimone di un passato perduto perché, se è possibile forse trasmettere alla generazioni future la storia che le ha precedute attraverso documenti scritti o concrete vestigia, non è consentito tramandare con questi mezzi l’odore dei luoghi, il rumore del vento, il colore del cielo, il sapore delle cose – e quindi anche del carciofo, se tutto questo non è vivo e tangibile. Allora io credo che sia importante conservare tutta questa variabilità genetica delle piante coltivate, e in particolare anche quella dei carciofi, così ricchi di storia, che debbono sopravvivere in tutta la loro variabilità genetica a memoria delle genti che li hanno prodotti, vicende diverse, di uomini diversi e su territori diversi, ma tutti in definitiva tese a raggiungere quel rapporto di conciliazione con la natura da sempre ricercato.
Un’azione di rispetto e di recupero di tutti i beni naturali e di quanto l’uomo ha prodotto di positivo è d’obbligo, e il reinserimento nella vita quotidiana dei frammenti della storia delle genti deve essere condotto anche a partire dalle piccole cose, foss’anche un semplice carciofo.
Se tutto questo sopravviverà – e me lo auguro fortemente – si arricchirà enormemente il patrimonio culturale delle generazioni future, che pur in un’auspicabile fusione rimarranno diverse. La vita sulla Terra è oggi così come la vediamo perché ha giocato sulla diversità e così sembra anche per la cultura.
Osservare un carciofo potrebbe allora far capire molte cose e gustarne il sapore potrebbe equivalere a leggere un libro di storia.
Angelo Lippi