Le paure degli adulti sono uno degli ostacoli più rilevanti che incontro durante lo svolgimento di molti progetti che porto avanti nelle scuole come educatore ambientale.
Di paure, nel mondo della scuola, dell’educazione o della famiglia, ne esistono moltissime e molto variegate: paura dell’imprevisto, paura della responsabilità, delle minacce o dei ricatti legali dei genitori, paura del pericolo in tutte le sue forme, paura di incontrare persone deviate, paura del disagio o della delusione.
L’infanzia è già teatro di grandi paure, paure ancestrali come quella del buio, degli animali sconosciuti, di essere abbandonati ecc. Il compito evolutivo delle giovani generazioni è quello di superare questi piccoli e grandi timori e conoscere il “mondo”; durante il viaggio, con la fiducia infusa dagli adulti e dalle esperienze positive, il bagaglio delle paure verrà bilanciato da una curiosità vivissima che pare innata.
Il minor numero di figli ha prodotto un’iper-protezione diffusa sui minori come “se fossero diventati ‘un investimento’ non solo economico ma anche emotivo.”[1]
Durante una conferenza sui diritti naturali dei bambini e delle bambine, dopo aver visto bambini della scuola materna in gita nei boschi, per campi o che si costruivano giocattoli, un signore ha confessato “Si, questi giochi li ho fatti anche io ai miei tempi, anche di più pericolosi, forse ora avendo un numero ridotto di figli siamo anche meno disposti a rischiare”.
Il risultato, visto da un 30enne che ha passato l’infanzia in campagna a girare in bicicletta da solo o in branco, ad arrampicarsi sugli alberi e costruirsi giochi e rifugi è impressionante: oggi i bambini dell’occidente ricco, sono in una situazione di limitatezza estrema.
Quando si prende uno spavento, la reazione istintiva del corpo è quella di bloccarsi, sospendere il respiro. Mi pare di osservare nella scuola in generale un effetto simile… La paralisi didattica colpisce le scuole dove è la paura a dettar le regole. Generalmente si trovano poche attività, poco varie, fatte in spazi chiusi o molto controllati… Mi vengono in mente i bambini del tempo prolungato di una scuola alla periferia di Bologna che stanno in una stanza per 8 ore al giorno in 25, 26, o in 28 a fare attività prevalentemente cognitive.
Un’insegnate di scuola materna mi diceva “sì la nostra coordinatrice ci tiene che i bambini siano bravi, ascoltino, facciano le schede e non li fa uscire in giardino o magari sporcarsi così fa contenti i genitori…” e risposi “Non i genitori… forse fa contente le paure dei genitori”.
In molte scuole, a mio parere, si sta venendo meno al compito originario, che potremmo chiamare “maieutica socratica”, la capacità di tirar fuori da ogni allievo ciò che lo rende unico e peculiare, per farlo sbocciare, fiorire…
In questa situazione, le insegnanti sono sobbarcate della stragrande maggioranza delle responsabilità, e spesso chi vorrebbe fare delle attività differenti, è costretto/a ad impegnare molte energie per la parte più noiosa del compito: aggirare la burocrazia o limitarsi a “contenere/preservare” bambini o ragazzi durante tutte le ore in cui li si hanno in “custodia”.
Questo compito di puro mantenimento in contenitori è palesato a volte nei nomi che prendono alcuni “servizi” proposti all’infanzia, con obbiettivi per niente celati: “baby parking”… Michael Ende, nello splendido romanzo Momo, aveva profetizzato questo genere di strutture chiamandole “Depo-bimbi”.
In questo ambiente istituzionale ipocondriaco rispetto alle responsabilità, sono sempre rimasto affascinato dalle persone che, con pochi ragionamenti, hanno saputo smontare le paure più comuni ed apparentemente insuperabili mettendone in luce gli aspetti più irrazionali. Il professor Bosi parla di bimbi scomparsi dalle nostre città… confinati nei parchi gioco, che passano da un contenitore a un altro, continuamente auto trasportati perché la strada viene vista come mortalmente pericolosa… “ci sono le macchine eppure ci sono bambini che sono tutto il giorno in mezzo al traffico, i bambini rom per esempio sono agli incroci più frequentati dalla mattina alla sera. Quanti articoli avete letto di bambini rom investiti per strada?”
Anche il dirigente scolastico Gianfranco Zavalloni incoraggiava a fare gite a piedi e in bicicletta, far usare martelli e chiodi ai bambini “Vogliamo tenerli lontani dai pericoli eppure il 99% dei ragazzini alle medie hanno un telefonino o usano i videogiochi per ore al giorno quando sappiamo che sono strumenti pericolosi anche per gli adulti…
Dobbiamo renderci conto che quando cresceranno, a 16 o 18 anni, per diritto naturale si allontaneranno da noi. A questo punto saranno più indifesi se hanno avuto la possibilità di fare una serie di esperienze che li hanno portati a familiarizzare col pericolo, a fiutarlo?
Correranno meno rischi se li abbiamo tenuti sotto una campana di vetro? (…)A cosa dovrebbe servire la scuola? Se non a diventare curiosi, imparare ad imparare e a vincere le proprie paure.”[2]
Esplorare, fare attività libere non programmate dagli adulti, giocare, sporcarsi, imparare con il corpo, con le mani (anche con qualche cerotto), coltivare un orto o un giardino, cucinarsi del cibo e mangiarlo insieme, stare all’aria aperta con il “giusto equipaggiamento” anche quando c’è nuvolo, pioviggina o c’è la nebbia…
A mio parere l’abilità di un educatore è proprio quella di saper osservare i bambini in queste esperienze, intuire l’indole d’ogni persona e proporre al momento giusto le attività che possano aiutarlo ad approfondire, a migliorare, a scoprire e scoprirsi, aiutarlo a “seguire la sua stella, il suo destino”
Un sentimento che parla
La paura è un sentimento naturale, fa parte della nostra intelligenza emotiva, è utile e funzionale all’evoluzione della specie. E’ la reazione di fronte a qualcosa che non si conosce; più grande è la nostra paura maggiore è la nostra ignoranza di fronte alla situazione. Bisognerebbe ascoltare le paure, hanno molto da dirci sul mondo ma soprattutto su come noi vediamo il mondo, sulle nostre esperienze passate, su noi stessi, sulle nostre convinzioni, su come prepararci, agire e apprendere di fronte a nuove sfide per acquisire fiducia. In questo ‘percorso’ si impara ad affinare l’intuito, a distinguere le voci che sentiamo dentro di noi quando dobbiamo prendere una decisione, a riconoscere, piano piano, da dove provengono.
Secondo me bisognerebbe ammettere i nostri timori prima di tutto con noi stessi, parlarne con gli altri per iniziare a dialogare con le nostre paure anziché obbedire loro… E poi naturalmente, attraverso il nostro esempio, invitare i bambini a fare altrettanto.
La nostra società non sembra valorizzare queste “abilità sottili”, anzi! Provate ad ascoltare un telegiornale… quante notizie mettono paura? Durante la scrittura della tesi ricordo di uno psicologo che raccontava che il nostro cervello, quando percepisce un pericolo o una situazione d’emergenza, attiva una delle sue aree più primitive. Esso tende a diventare “binario”, a scegliere fra due alternative semplici: si/no, buono/cattivo, mi piace/ non mi piace (riconducibili all’attacco o alla fuga). Con più calma, potrebbe invece utilizzare l’intero potenziale razionale situato nella corteccia… la parte che permette di analizzare, notare le sfumature, fare confronti e prendere decisioni tenendo conto di una complessità di fattori.
Spesso i mass media abituano gli individui a percepire situazioni di emergenza (criminalità, terrorismo, guerra, malattie, clima). Abituare una popolazione a questo tipo di minacce incombenti facilita l’accettazione delle poche proposte offerte ad hoc giusto nel momento di massima urgenza. Queste proposte vengono spesso percepite come le uniche alternative anche se spesso sono proposte arbitrarie, che nascondono interessi economici o formulazioni a senso unico. In definitiva molti concordano che la paura aiuta ad aumentare i consumi e rendere il popolo più gestibile.
Obbedire alla paura
A livello psicologico e individuale, cosa succede se invece assecondiamo le nostre paure? Quando iniziamo ad ‘obbedire’ alle nostre paure? Proviamo a vedere quando queste degenerano in una sorta di malattia, perché, come diceva S. Freud, “E’ osservando il patologico che si può capire come ‘funziona’ il normale”
“C’era un uomo sui 45 che andò dal medico per farsi prescrivere dei ricostituenti… il medico iniziò a parlare e scoprì che il paziente dormiva poco… non perché soffriva d’insonnia ma perché si alzava prestissimo la mattina… L’uomo dopo un po’ confessò di aver avuto un attacco di panico in una piazza dove c’erano anche dei piccioni. Questa esperienza è stata per lui emotivamente molto forte, racconta di aver avuto l’impressione di essere in balia di un pericolo estremo e la sensazione di poter morire da un momento all’altro. Da quel giorno, pur non essendo stati la causa scatenante, quando vedeva piccioni il cuore cominciava a battergli più forte e la sudorazione aumentava. Da allora aveva preso ad evitare i posti dove si trovavano i volatili… Dopo un po’, l’uomo evitava anche posti dove, anche se non erano presenti, ne aveva visto qualcuno anche per una sola volta. Purtroppo questi luoghi erano sulla strada che abitualmente percorreva per andare al lavoro, allora, per evitarli, doveva fare dei giri lunghissimi e tortuosi ed alzarsi prestissimo al mattino. E così dormiva poco la notte…” Alla fine, Chiara Colla[3] raccontava come “queste persone si ritrovano proprio a vivere una vita ‘grama’ con molte limitazioni che aumentano sempre di più.”
Questo caso ci fa entrare un po’ di più nel modo di s-ragionare della paura, quando prende il controllo della mente e delle azioni. Qualsiasi espediente si metta in atto l’ego, non si sentirà mai abbastanza “al sicuro”, anzi chiederà nuove attenzioni e stratagemmi per sentirsi al riparo.
Vorrei analizzare un attimo con tranquillità se esiste una sorta di prevenzione o alcuni gesti di salute psicologica che sviluppino il coraggio anziché le paure… Molti psicologi concordano che tutte le fobie e le paure hanno una radice comune ovvero “la paura di morire”. E se ci pensiamo, in effetti l’ego ha ragione, ci sono alcune verità di cui bisogna prendere atto: “non c’è quasi nulla che sia pienamente ed assolutamente sotto il nostro controllo”. “Potremmo morire in qualsiasi momento”. Già se riuscissimo a prendere atto di questi “dati di fatto” forse ci sentiremmo davvero più rilassati: prendere cioè atto di “non poterci fare proprio niente” significa che per quanto io possa scervellarmi, fare, brigare, prevenire o per quanto possa sentirmi agitato, non potrò avere il controllo di un’infinità fattori, forze, meccanismi e entità che sono superiori, che oltrepassano le mie forze e le mie capacità di controllo.
Un altro paradosso che svela il nostro “lato sano” è rappresentato dal fatto che il pensiero di “poter morire in qualsiasi momento” non ci terrorizza in ogni momento della nostra vita: ci sono dei periodi in cui ci sovrasta e altri in cui questa consapevolezza sembra non avere importanza…
Non sono un esperto, ma penso che la “paura di morire” e la paura di “non poter far nulla” siano fortemente collegate “alla paura di vivere” e a quella di “poter far la cosa giusta al momento giusto”.
Un amico frate mi raccontava di una ragazza che da quando è nata aveva in testa i delfini. Li disegnava, li guardava nei documentari… A 20 anni aveva un lavoro sicuro e ben retribuito in una banca, diversi hobby e una normale vita sociale e ovviamente l’interesse per i delfini. Un giorno arriva un’offerta dalla Florida per seguire, in un parco acquatico, alcuni di questi animali… La ragazza, contrariamente al parere di tanti, tra cui parenti, genitori, contrariamente ai calcoli di ciò che conviene, prende e parte per l’America dove non conosce nessuno… semplicemente per seguire la sua stella. Ora penso che rifarebbe quella scelta 100 volte ancora.
Dalla nascita ci sono alcune capacità innate, delle attività per le quali ci sentiamo portati, con cui ci sentiamo inspiegabilmente compatibili… ci sono talenti che, in certe occasioni, possono saltare fuori… Anche in ambito religioso la ‘vocazione’ viene intesa come chiamata a svolgere la volontà o destino di un ordine superiore diverso da quello “umano convenzionale”.
Cosa sarebbe successo a quella ragazza se non avesse colto l’occasione o la ‘sfida’ di seguire la sua passione? Anche lei, al momento della scelta, avrà certamente avuto dubbi, perplessità ecc. Se avesse deciso di restare, probabilmente avrebbe cominciato a maturare rimorsi… forse angosce… magari proprio quella di una vita che passa senza che questo tipo di occasioni si possano ripetere…
Buttarsi in una relazione affettiva profonda, aprire un’attività economica, sociale, culturale sono “viaggi” di cui non si conosce la meta, la possibilità di successo, l’entità delle difficoltà e delle proprie risorse. Ma chi coglie questo invito a “camminare” ha l’occasione di trovare sé stesso, la sua vera natura, compiendo un viaggio innanzitutto fra le sue paure, confrontandosi con esse… I tesori di questo viaggio potranno essere rappresentati dalla prudenza, dalla temperanza, dall’obbiettività derivata dall’aver distinto fra timori motivati e invenzioni della mente, dalla fiducia in sé stessi, nella provvidenza e nel poter incontrare persone positive.
Alla domanda “Lei ha mai avuto paura?” il giudice Borsellino rispose “Certo, ne ho sempre, ma continuo a fare quello che faccio, la paura non è il contrario del coraggio.
Chi non ha mai paura non è un coraggioso, è un incosciente…
La viltà è il contrario del coraggio”.
Penso che, come l’ottimismo e l’allegria, anche la paura e l’ansia siano contagiose. Molto spesso un bambino impara ad aver una reazione emotivamente allarmata quando vede un genitore che si spaventa… pensiamo a quando un bambino si taglia e trova di fronte un adulto che si agita in maniera sproporzionata oppure quando i grandi gridano davanti a insetti o topolini…
Forse lo scoglio che devono affrontare la nostra società, la scuola e i genitori è proprio quello di prendere coscienza e superare le proprie paure per permettere ai bambini di fare altrettanto.
Andrea Magnolini, articolo già pubblicato su www.passileggerisullaterra.it
(per gentile dono e concessione dell’autore)
Cuneo 9 ottobre 2008
[1] Gianfranco Zavalloni, dirigente scolastico, da una conversazione aprile 2008
[2] Gianfranco Zavalloni conferenza sui diritti naturali dei bambini e delle bambine al centro ‘il melograno’ Quinzano Veronese 2002; cfr. anche, dello stesso autore, La pedagogia della lumaca, recensito su www.ortidipace.org (“Letture”)
[3] Psicologa e psicoterapeuta