Per far un orto non serve una laurea ma se c’è è meglio…
Ci sono orti scrupolosamente coltivati dai nostri nonni, orti urbani abbarbicati su terrazzi di grandi metropoli, orti in un vaso, biologici, che vivono senza terra e senza acqua, orti di pace e di fantasia. Spazi aperti che segnano il tempo della nostra vita. Sembra strano ma una pianta di carota, di pomodoro o un semplice lillà scandiscono il ritmo delle nostre giornate, delle stagioni.
Una pianta di asparago, per assaporare i suoi frutti impiega il tempo di un’avventura.
Così è iniziata la mia, il giorno dei miei 19 anni quando ho deciso di iscrivermi all’Università di Scienze Gastronomiche a Pollenzo (www.unisg.it). Mi piace descriverla come una scuola dove si incontrano popoli e culture dei mille paesi e dove si cerca di costruire insieme un solo pensiero comune, olistico. Studiamo il cibo per conoscere le diverse culture gastronomiche del mondo, e lo facciamo viaggiando; studiamo l’economia per conoscere le leggi di mercato, l’antropologia e la sociologia per conoscere le cause della fame e dell’abbondanza, la botanica per riconoscere le piante che ci circondano. La Gastronomia è una scienza complessa ed interdisciplinare per questo nel nostro campus abbiamo anche un orto per mettere in pratica i nostri saperi e coltivare sapori.
È un orto biodiverso perché ci lavorano insieme italiani, francesi, tedeschi, giapponesi, kenyoti, australiani ecc…, perché ci coabitano oltre alle diverse varietà di ortaggi e fiori anche talpe, topi, chiocciole e l’intero microcosmo sotterraneo. È un orto vivo, coltivato secondo i principi della biodinamica, secondo sistemi che rispettano l’ecosistema terrestre. Sono di centrale importanza l’humus (la sostanza organica, attiva del terreno), le fasi lunari che vanno rispettate per i lavori in campo, le forze cosmiche che regolano le forme della natura e i quattro elementi; perché ogni essere vivente ha bisogno per vivere di terra, di acqua, di fuoco e di aria.
Così l’orto è stato suddiviso in parcelle “d’acqua” dove vengono coltivati gli ortaggi a foglia, insalate, spinaci, cicorie ecc… Nella parcella di “terra” sono coltivati gli ortaggi che si sviluppano nel sottosuolo, ad esempio patate, cipolle aglio, carote. La parcella di “fuoco”accoglie gli ortaggi di cui si mangia il frutto, pomodori, zucchine, fagiolini, peperoni ecc…All’elemento aria appartengono i fiori. Ogni ortaggio segue una particolare consociazione con altre piante per proteggere le piante stesse da attacchi parassitari, ma anche per ottimizzare lo spazio; così ad esempio gli spinaci si consociano ai piselli, alla bietola la lattuga, alla fava il tagete, alla cipolla la carota.
L’orto è circondato da siepi, e pietre, per creare un ecosistema adatto agli insetti e animaletti, le vasche per l’acqua sono anche il rifugio di ranocchie, la compostiera viene arricchita ogni giorno dagli scarti vegetali provenienti dagli appartamenti di noi studenti.
Il ciclo è chiuso, l’orto è autogestito.
I compiti di gestione delle parti in comune sono suddivisi tra noi studenti; così c’è chi si occupa di curare le erbe aromatiche, chi i fiori, chi di fare i preparati biodinamici e di spargerli all’alba e al tramonto. Il nostro orto è una dispensa aperta che si arricchisce di giorno in giorno, di viaggio in viaggio; infatti quando andiamo in stage (viaggi in giro per il mondo che facciamo per conoscere le diverse comunità del cibo e studiarne la cultura, le tradizioni e le tecniche) scopriamo nuove tecniche agronomiche, nuovi ortaggi, raccogliamo i semi più disparati e poi li piantiamo nell’orto. In Giappone abbiamo appreso da un contadino che coltiva verdura biologica, che le melanzane crescono meglio se fertilizzate con polvere d’aringa, sulle isole Shetland scovammo meravigliose patate blu, in Canada scoprimmo che se lo spazio a disposizione è poco le patate si possono coltivare in altezza dentro copertoni. Marco è piemontese ed ha piantato nell’orto una senape irlandese, Edoardo è romano ed ha piantato un’antica varietà di fave, Gen dal Giappone il basilico rosso shiso e la rapa daikon. Claudia dall’Ecuador ha fatto della sua parcella un cerchio dove ha piantato in maniera concentrica insalata, cipolle, patate e mais, senza però chiudere il cerchio.
Il gesto è simbolico; il suo spazio è aperto a nuove culture.
Elisa Mereatur, studentessa dell’Università di Scienze Gastronomiche
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